Serotonina libera, emorragia pure

02 dicembre 2005
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Serotonina libera, emorragia pure



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L'attenzione rimane sempre alta sui farmaci, soprattutto quelli di ultima generazione, perché gli effetti collaterali, per quanto indicati, vanno comunque monitorati. Anche perché è sui grandi numeri che si possono fare considerazioni significative, e quindi è normale che solo a distanza di tempo, e alla luce di dati statistici, sia possibile stabilire se ci sono e quali sono e che gravità assumano. Un lavoro del genere è stato fatto, negli ultimi vent'anni circa, sui farmaci inibitori del riassorbimento della serotonina (IRSS o SSRI all'inglese) usati come antidepressivi. E una delle ipotesi di eventi avversi interessava i processi di coagulazione del sangue.

Coagulazione a rischio


La serotonina, infatti non è solo un neurotrasmettitore del sistema nervoso centrale, ma è una molecola ubiquitaria (presente ovunque nell'organismo) che svolge anche altre attività. Nel sangue, infatti, viene utilizzata dalle piastrine, le cellule del sistema circolatorio responsabili della coagulazione che, non sintetizzandola, la recuperano dal circolo sanguigno, la accumulano e poi la liberano per portare a termine la loro attività. La serotonina, quindi, contribuisce al processo di coagulazione e, come si può intuire, l'inibizione del suo riassorbimento interferisce con questo. Per altro, tale effetto a livello periferico, e in particolare sulle piastrine, viene segnalato per alcuni IRSS. Di fatto in letteratura sono reperibili documentazioni su casi di disturbi da sanguinamento: ecchimosi (lividi), epistassi, emorragie vaginali, chiazze cutanee provocate da emorragie extratissutali. Vi sono pure studi osservazionali che riportano di sanguinamento del tratto gastrointestinale alto, intracraniale e durante interventi chirurgici. L'aumento del rischio va però misurato, e i risultati finora ottenuti parlano di un rischio alto o moderato di solito associato agli eventi gastrointestinali. In uno di questi studi, però, sono stati considerati tutti i tipi di sanguinamento anomalo avvenuti in seguito alla somministrazione degli IRSS, ed è stata osservato un aumento del rischio la cui entità dipendeva dal tipo di molecola.

Differenze da sfruttare


I dati raccolti derivavano da un database olandese nel quale sono stati selezionati soggetti maggiorenni che in otto anni, tra il 1992 e il 2000, avevano assunto il farmaco per un anno. Dei circa 64 mila pazienti scelti, ognuno dei quali confrontato con 5 soggetti di controllo, 196 erano stati ricoverati in ospedale con una diagnosi primaria di sanguinamento anomalo, cioè non dipendente da altre cause. Venivano presi in considerazione tutti i tipi di sanguinamento, e l'incidenza risultò di 4,9 nuovi casi ogni mille pazienti. Emerse inoltre che esisteva una gradualità nell'aumento del rischio, associata all'intensità dell'effetto inibitorio del farmaco. Vale a dire che gli IRSS che avevano un efficacia intermedia comportavano un rischio quasi doppio (1,9) rispetto a chi non assumeva il farmaco, mentre con IRSS a efficacia elevata il rischio diventava più che doppio (2,6). Infatti i casi registrati erano 18, 75 e 103, rispettivamente associati all'uso di IRSS con capacità di inibizione dell'assorbimento della serotonina bassa, intermedia ed elevata. Il sanguinamento anomalo più diffuso era quello uterino (47,4%), a seguire quello del tratto gastrointestinale alto e quello cerebrale.In altri studi era stato valutato un aumento del rischio di oltre il 10%, ed erano state riconosciute come condizioni che favoriscono il fenomeno l'uso di farmaci antinfiammatori non steroidei, un'anamnesi di problemi gastrointestinali e l'età avanzata. L'associazione si è quindi dimostrata reale e forte: un'informazione preziosa di cui la pratica clinica può avvalersi per la valutazione del bilancio rischi-benefici nella scelta del farmaco da somministrare. Perché se esistono delle differenze tra un principio attivo e l'altro, nell'ambito della stessa classe di farmaci, val la pena sfruttarle se i vantaggi vanno a favore della salute del paziente.

Simona Zazzetta



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