Il Pap test e i suoi sviluppi

11 luglio 2007
Aggiornamenti e focus

Il Pap test e i suoi sviluppi



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Da circa mezzo secolo il Pap test è il caposaldo dello screening dei tumori del collo dell'utero, ma si studiano, comunque, perfezionamenti e altre indagini per migliorare ulteriormente le sue capacità diagnostiche. Uno sviluppo della citologia tradizionale già ampiamente in uso in molti paesi è quella in fase liquida, che non analizza direttamente lo striscio di cellule prelevate, ma le sottopone a un sistema di lavaggio, filtraggio e preparazione automatizzata in strato sottile su un vetrino, esaminato poi direttamente al microscopio o con metodo computerizzato.
Tra i vantaggi, si riducono i casi incerti, per esempio per presenza di cellule ematiche o infiammatorie, e si può usare il campione per test complementari. I confronti sull'accuratezza dei due sistemi hanno però prodotto risultati contrastanti, anche per la limitatezza di studi qualificati: nuovi contributi vengono forniti ora da una ricerca italiana relativa a circa 45.000 donne e da un lavoro australiano, entrambi pubblicati sul Bmj. Il razionale dello screening primario per la prevenzione del cancro della cervice è una questione attuale dal punto di vista economico-sanitario oltre che scientifico, che coinvolge per esempio anche l'uso di un test recente come quello per il DNA del Papillomavirus e la riconsiderazione generale alla luce della disponibilità del vaccino, vera rivoluzione per la prevenzione.

Meno risultati non soddisfacenti


L'ampio studio, coordinato dal Centro per la prevenzione oncologica di Torino, ha coinvolto donne di 25-60 anni reclutate periodicamente per il Pap test (raccomandato almeno ogni tre anni, in questa fascia d'età) da nove centri di sei regioni, metà delle quali assegnate dopo randomizzazione alla citologia tradizionale e l'altra metà a citologia liquida, con successivo ricorso alla colposcopia nei casi previsti dal protocollo. Come risultato finale, per il sistema alternativo della fase liquida non si è dimostrato un aumento significativo di sensibilità nei confronti delle lesioni intraepiteliali di grado 2 o superiore (quelle considerate obiettivo primario del trial) rispetto al sistema tradizionale; inoltre è risultato un valore predittivo positivo più basso, in conseguenza della maggiore frequenza di lesioni, in genere di basso grado, senza incremento di neoplasie di grado elevato. C'è stato infatti un aumento di sensibilità delle lesioni almeno di grado 1, ma non di grado superiore a 3. La frequenza relativa delle donne con almeno un risultato non soddisfacente, per lesioni atipiche o casi incerti, è stata però più bassa nel gruppo citologia liquida: questo è stato giudicato dai ricercatori il principale vantaggio del metodo, in aggiunta a quelli già evidenziati della maggiore rapidità del risultato e della possibilità di usare lo stesso campione per il test dell'HPV e per altri test.
Riguardo allo studio osservazionale australiano, analizzando circa 55.000 campioni, in sintesi è emerso che con un sistema di imaging automatizzato si individuavano 1,29 casi in più di malattia di grado elevato ogni mille donne rispetto alla citologia convenzionale, con le lesioni di grado 1 come soglia per avviare alla colposcopia.

Non solo sensibilità


Che cosa possono aggiungere questi risultati? L'editoriale ricorda che i diversi livelli di successo dello screening nei vari paesi dipendono dalla sensibilità del metodo usato, dall'incidenza della malattia nella popolazione, dai tassi di copertura, dall'età d'inizio del test, dagli intervalli dello stesso; questi aspetti, in aggiunta ad altri, come l'esperienza degli operatori, fanno sì che i risultati in un dato contesto possano non essere direttamente applicabili ad altri. La superiorità della citologia liquida rispetto a quella tradizionale può risiedere non soltanto nella maggiore sensibilità ma nelle altre caratteristiche rilevate, quali la rapidità e l'utilizzo per test complementari, come quello per la ricerca del DNA dell'HPV, per il quale non esiste indicazione per l'uso routinario e deve ancora essere definito il ruolo ottimale. Le strategie d'impiego dei test sono dunque complesse, associative e non, e tra l'altro non solo per lo screening iniziale ma anche per il monitoraggio in fasi successive; un'ulteriore elemento da valutare saranno le raccomandazioni nell'epoca della vaccinazione anti-HPV, tenendo conto che questa non è obbligatoria e che è inefficace se chi vi ricorre è già infetto.

Viviana Zanardi



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