Diagnosi di AIDS ancora tardiva

28 novembre 2008
Aggiornamenti e focus

Diagnosi di AIDS ancora tardiva



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Solo sei mesi di anticipo rispetto al passaggio alla fase conclamata. Questi i tempi che in media si calcolano perché un sieropositivo arrivi alla diagnosi. In Italia oltre il 60% dei sieropositivi e delle persone alle prese con l'Aids si accorge tardi di aver contratto il virus, perdendo tempo prezioso per combattere e contrastare la malattia. Maglia nera al Sud, inoltre, dove al test ci si sottopone sempre più tardi rispetto al Nord. E con il passare degli anni le cose, su questo fronte, anziché migliorare peggiorano. La dice lunga il fatto che, prima del 2000, solo un sieropositivo su 5 arrivava tardi alla diagnosi, consentendo al virus di radicarsi nell'organismo con i danni che ne conseguono. I dati sono stati rivelati da Gianni Rezza, epidemiologo dell'Istituto superiore di sanità (Iss), nel corso di una conferenza stampa organizzata a Roma lo scorso 30 ottobre, durante la quale sono stati anticipati i temi centrali del XXII congresso ANLAIDS, che si è svolto a inizio novembre a Palermo.

Si fa quasi sempre tardi


"I casi di diagnosi tardiva - spiega Rezza - si contano in maggior parte tra le persone che hanno contratto il virus per via sessuale. Particolarmente grave la situazione degli immigrati che, in media, arrivano alla diagnosi tre volte più tardi degli italiani. Migliore la situazione nell'ambito dei tossicodipendenti. In questi pazienti - conferma Tullio Prestileo, infettivologo degli Ospedali Casa del sole di Palermo, presidente di ANLAIDS Sicilia e organizzatore del XXII congresso dell'associazione - è maggiore la consapevolezza del rischio specifico e quindi il testviene effettuato più spesso. Una delle cause del ritardo - prosegue Rezza - è data dalla percezione che l'argomento HIV sia quasi passato di moda". L'errore è ancora più grave se si pensa che oggi i medici hanno a disposizione farmaci in grado di cronicizzare la malattia, anche se questa è una lama a doppio taglio che ha portato in secondo piano l'AIDS tra le preoccupazioni degli abitanti della Penisola. "Anche se - precisa Fiore Crespi, presidente dell'associazione - il test dell'HIV continua a scatenare fantasmi, la paura del contagio c'è dappertutto e assale chiunque: anche questo allontana inevitabilmente i tempi della diagnosi".
Qualche nota positiva comunque c'è. "I casi di Aids - ricorda Rezza - in Italia sono scesi significativamente, passando dai 5.500 del '95 ai 2.000 nuovi casi attuali, merito soprattutto dei nuovi farmaci disponibili sul mercato". E' inoltre tempo di novità. Se finora il monitoraggio della situazione avveniva solo sui casi di Aids conclamati, un decreto ministeriale pubblicato in Gazzetta Ufficiale nel luglio scorso ha sancito la nascita del sistema nazionale di sorveglianza delle nuove infezioni di diagnosi di Hiv.

L'assistenza deve rimanere per tutti


Un emendamento proposto in Parlamento dalla Lega preoccupa fortemente l'ANLAIDS. Il testo modificherebbe il Testo Unico sull'immigrazione cancellando la possibilità per lo straniero irregolare di accedere alle cure gratuitamente e senza incorrere nella segnalazione delle autorità. "Si tratta - secondo il parere di Vincenzo Vullo, direttore dell'Unità Operativa dedicata all'assistenza della popolazione migrante - di un atto che, oltre a essere contrario alla Costituzione spingerebbe gli immigrati lontano dalle strutture sanitarie mettendo a rischio loro stessi e la salute pubblica in generale. Siamo particolarmente preoccupati - ha concluso Vullo - perché anche se l'emendamento deve ancora compiere tutto il suo iter la voce tra gli immigrati sembra essersi diffusa velocemente e noi abbiamo già registrato un calo degli accessi alle prestazioni sanitarie".

Gianluca Casponi



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