Eredità incurabile

07 novembre 2003
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Eredità incurabile



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Si tratta di una malattia neurologica, che porta a progressiva degenerazione di alcune aree cerebrali, attualmente ancora incurabile.
Prende il nome dal primo medico che, nel diciottesimo secolo, ne descrisse con precisione i sintomi. La malattia però era nota sin dall'antichità e nel sedicesimo secolo era chiamata corea, nel senso latino e greco di danza. Nella fase avanzata della patologia, infatti, il paziente manifesta una serie di movimenti incontrollabili assimilabili a una danza.

L'origine


La malattia di Huntington è una patologia ereditaria autosomica-dominante: ciò significa che è sufficiente ereditare un gene alterato da uno dei genitori per sviluppare la malattia. Il gene responsabile è stato identificato nel 1993 e da allora è disponibile un test genetico che ne verifica la presenza.
Chiunque sia portatore del gene mutato svilupperà la malattia: i primi sintomi insorgono, però, tra i 35 e i 40 anni, in una fase della vita in cui una persona può già avere avuto dei figli. Quando un genitore possiede il gene alterato i figli, sia maschi sia femmine, hanno una possibilità su due di ereditare la malattia. La diffusione della malattia di Huntington è praticamente ubiquitaria anche se la prevalenza varia nelle varie parti del mondo e nei diversi gruppi etnici. In Europa si registrano circa 4-7 casi ogni 100.000 persone; in Italia a seconda delle aree geografiche considerate si va da 2,3 a 4,8 casi ogni 100.000 abitanti.
Come si diceva, l'Huntington si manifesta in genere in età adulta, tuttavia nel 10% dei casi può colpire bambini o adolescenti. In contrasto con le leggi di Mendel sull'ereditarietà si è rilevato che, nella quasi totalità dei casi di Huntington giovanile, il gene mutato viene ereditato dal padre.

L'evoluzione


Il gene mutato codifica per una forma anomala di una proteina, l'antintina, che, attraverso meccanismi non ancora chiariti, induce degenerazione di alcune aree cerebrali. La perdita di cellule è lenta e progressiva e interessa principalmente i gangli della base (una regione profonda del cervello), per estendersi poi alle zone adiacenti negli ultimi stadi della malattia.
I sintomi compaiono gradualmente e in maniera subdola: all'inizio non sono immediatamente riconoscibili poi, con il passare degli anni, finiscono per compromettere gran parte delle capacità fisiche e mentali del paziente.
I primi segni della malattia sono, in genere, di tipo cognitivo o comportamentale, successivamente compaiono i disturbi motori.
Sintomi comportamentali: la malattia di Huntington può presentarsi con cambiamenti del tono dell'umore, irritabilità, ansia, depressione, scoppi di aggressività. Questi disturbi possono precedere di molti anni le altre manifestazioni tipiche della malattia.
Sintomi cognitivi: nelle fasi iniziali della malattia si riduce la capacità di organizzare le attività quotidiane e di affrontare nuove situazioni, si hanno difficoltà di concentrazione. In seguito si perde la memoria a breve termine, il senso dell'orientamento e la capacità di ragionare.
Sintomi motori: sono evidenti nelle fasi avanzate della malattia quando movimenti involontari della testa, del tronco e degli arti rendono difficile camminare e bilanciarsi correttamente. Spesso sono coinvolte anche la parola e la deglutizione, con conseguente disorganizzazione del linguaggio (disartria) e difficoltà ad alimentarsi (disfagia).

Da sapere

La morte sopraggiunge dopo circa 15-25 anni dalla comparsa di sintomi evidenti ed è dovuta a complicazioni cardiache o polmonari. Nei pazienti con malattia di Huntington, però, è molto frequente il suicidio, specie all'esordio dei primi sintomi.
Non esistono ancora cure capaci di rallentare la progressione della malattia, tuttavia gli psicofarmaci sono molto efficaci nel contenere i disturbi psichici e, quando necessario, si possono impiegare farmaci capaci di bloccare le contrazioni involontarie. Molto utili inoltre, una serie di trucchi e consigli per aggirare le prime difficoltà motorie, di concentrazione e di memoria, in modo da conservare autosufficienza e qualità di vita il più a lungo possibile.
Per quanto la degenerazione cerebrale porti nel tempo alla comparsa di una quadro di demenza, il paziente rimane cosciente, continua a comprendere il linguaggio anche se non riesce ad esprimersi, e mantiene la capacità di esternare i propri sentimenti. Particolari, questi, che non vanno trascurati da parte di chi vive con il malato e lo accudisce.

Elisa Lucchesini



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