Farmaci nuovi per psicosi?

28 settembre 2005
Aggiornamenti e focus

Farmaci nuovi per psicosi?



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La schizofrenia è una psicosi endogena caratterizzata da dissociazione della personalità, allucinazioni, delirio e perdita di contatto con la realtà. È una patologia a decorso cronico che spesso, ma non sempre, porta verso uno stato demenziale. Si calcola che al mondo almeno 45 milioni di persone siano affette da schizofrenia e che, solo in Italia, i malati siano circa 600000.

Gli antipsicotici


I farmaci d'elezione per la cura di questa malattia psichiatrica sono i cosiddetti antipsicotici. Quelli di prima generazione sono antagonisti del recettore D2 della dopamina e rappresentano un trattamento molto efficace contro i sintomi psicotici. Tuttavia, presentano effetti collaterali extrapiramidali (chiamati così perché chiamano in causa quell'unità funzionale del sistema nervoso che presiede alla regolazione dei meccanismi della postura e del movimento) tra cui il più grave è la discinesia tardiva (movimenti involontari a carico della muscolatura della bocca, delle labbra e della lingua). Per cercare di ovviare a tali "inconvenienti" sono stati messi a punto antipsicotici di seconda generazione, o atipici, i quali hanno affinità non con il recettore della dopamina, ma con quelli di altri neurotrasmettitori come la serotonina e la noradrenalina. Questi nuovi farmaci sono molto efficaci nella riduzione dei sintomi negativi tipici della patologia e non presentano gli effetti collaterali neurologici degli antipsicotici di prima generazione, tuttavia il loro utilizzo sembra indurre aumento di peso e alterazione del metabolismo del glucosio e dei lipidi.

"Scontro" generazionale


Uno studio condotto dal National Institute of Mental Health (NIMH) si è occupato di comparare un farmaco convenzionale (perfenazina) con alcuni antipsicotici atipici (olanzapina, quetiapina, risperidone e ziprasidone) con lo scopo di verificare se effettivamente i nuovi trattamenti presentano vantaggi significativi rispetto a quelli più vecchi. All'inizio dello studio, ai 1400 pazienti coinvolti è stato assegnato in modo casuale il trattamento a cui dovevano sottoporsi per 18 mesi. Solo una piccola minoranza di pazienti ha mantenuto la propria terapia per tutta la durata dello studio (range di interruzione 64-82%) e questo evidenzia i limiti delle cure farmacologiche per la schizofrenia. I pazienti che hanno iniziato lo studio assumendo olanzapina hanno presentato la minor percentuale di abbandoni della terapia, oltre a una maggiore riduzione della psicopatologia e un minor numero di casi di ospedalizzazione, aggravamento e ricadute. Tuttavia gli antipsicotici convenzionali, rappresentati dalla perfenazina, hanno dimostrato le stesse proprietà di efficacia e tollerabilità di quelli atipici e i vantaggi riscontrati con l'olanzapina, tenendo conto degli effetti collaterali (aumento di peso e alterazioni metaboliche associate a un aumentato rischio di diabete) sono di modesta entità. Alla luce della sostanziale uguaglianza tra le due generazioni di farmaci, la differenza nella scelta del trattamento la fa il paziente e sarà quindi compito del medico valutare la terapia più idonea sulla base del rapporto beneficio/rischio.

Ombretta Bandi



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