L'ipertrofia prostatica

08 aprile 2005
Aggiornamenti e focus

L'ipertrofia prostatica



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Tra le patologie che riguardano la prostata, la più diffusa è sicuramente l'ipertrofia prostatica benigna o adenomiofibroma della prostata: un ingrossamento e una conseguente ridotta capacità funzionale dell'organo. Ciò avviene soprattutto dopo i 50-60 anni (oltre questa età, infatti, si calcola che il disturbo colpisca il 70% circa degli uomini, mentre dopo gli 80 anni l'incidenza sale persino all'80%). Con l'avanzare degli anni, infatti, la parte centrale della prostata tende a ingrossarsi fino a superare anche di 2-3 volte le misure ritenute normali (25 mm di spessore, 20 g di peso, 4 cm di larghezza e 3 cm di lunghezza; i valori, però, possono variare in base all'età e al singolo soggetto). Le cause non sono ancora ben chiare; vista la correlazione con l'avanzare dell'età, però, è certa l'influenza delle variazioni nell'assetto ormonale in rapporto all'andropausa. Più precisamente, con l'età aumenta il tasso di estrogeni e, essendo la parte muscolare della prostata dotata di un gran numero di recettori per gli estrogeni, aumenta anche il rischio di ipertrofia. E' stato invece scientificamente dimostrata l'assenza di correlazione con lo stato sociale e culturale, con il gruppo sanguigno, il vizio del fumo, l'abuso di alcol, le malattie cardiovascolari, il diabete, la cirrosi epatica e l'ipertensione; al contrario, è nota la relazione con il tumore prostatico.
A differenza del carcinoma prostatico (che origina, in genere, a carico della porzione caudale, la zona più in basso dell'organo), l'ipertrofia si sviluppa a carico della prostata craniale: la zona più alta. Questo fa sì che possano insorgere entrambe le patologie in un unico soggetto.

Lo sviluppo della malattia


La crescita della ghiandola prostatica tende a restringere sempre di più l'uretra prostatica, la parte dell'organo che inizia con l'orifizio uretrale interno della vescica e termina all'apice del pene in corrispondenza dell'orifizio uretrale esterno. Questo fa sì che il primo sintomo avvisabile sia, quasi sempre, la difficoltà ad urinare. La vescica è costretta a lavorare di più per tentare di espellere l'urina e, con il tempo, si indebolisce, perde efficienza ed è soggetta a diverticoli (ernie vescicali). La difficoltà nell'espellere i liquidi, inoltre, può far si che parte delle sostanze di scarto restino nella vescica, dando luogo a possibili infezioni e calcolosi.

I sintomi


Come già accennato sopra, il principale sintomo dell'ipertrofia prostatica è la diminuzione del calibro e del getto urinario, spesso associato anche a difficoltà nell'iniziare la minzione. Altri sintomi potrebbero essere: bisogno di urinare più spesso del normale, nicturia (bisogno di urinare di notte), urgenza minzionale (bisogno urgente di urinare, a volte con perdita involontaria di qualche goccia di pipì), minzione "intermittente" (a più tempi), sensazione di non aver svuotato del tutto la vescica, difficoltà a iniziare la minzione (nonostante la presenza di un forte stimolo), gocciolamento post-minzionale (dopo aver urinato, il paziente nota la fuoriuscita di alcune gocce di urina). Nei casi più gravi può insorgere anche la completa incapacità ad urinare (ritenzione urinaria), tanto da rendere necessario il riscorso al catetere per lo svuotamento.

La diagnosi

Il primo esame diagnostico per verificare la presenza di ipertrofia prostatica è, ancora oggi, l'esplorazione rettale: un'indagine semplice, non invasiva e molto attendibile. L'esito positivo dell'esame è dato dalla vista di una prostata indurita, dolorante e, in caso di ostruzione prolungata, di dilatazione degli ureteri e delle cavità renali legate al ritorno dell'urina dalla vescica verso il rene o dall'incapacità di far defluire normalmente le urine verso la vescica. I sintomi dell'ipertrofia possono essere molto simili a quelli del carcinoma prostatico; questo rende il ruolo del medico di fondamentale importanza. L'urologo, infatti, durante la visita deve fare un'accurata diagnosi differenziale tra le due malattie.
Altri esami diagnostici sono: il PSA (antigene prostatico specifico), esame del sangue che serve a valutare le concentrazioni dell'antigene della prostata (aumentato nel caso di ipertrofia); l'esame delle urine (per accertare la presenza di leucociti: i globuli bianchi che indicano la presenza di un'infezione; e per accertare la presenza di emazia: il sangue nelle urine); l'ecografia vescicale (studio dello stato della vescica e della prostata per mezzo di una sonda collegata ad un apparecchio, detto ecografo), da effettuarsi con vescica piena, poiché è solo in questo stato che è possibile studiare bene entrambi gli organi.

La terapia

In caso di ipertrofia lieve (o di primo grado) l'urologo predilige, in genere, il solo intervento medico, che si avvale dei seguenti farmaci: gli antiprostatici e gli alfa-litici. Il primo gruppo di farmaci (in particolare la finasteride) agisce arrestando la trasformazione del testosterone nella sua forma attiva, che stimola la crescita della prostata. Gli alfa-litici, invece, appartengono alla classe di farmaci (come la terazosina e la tamsulosina) in grado di rilassare i muscoli del collo vescicale, dell'uretra prostatica e della stessa prostata, facilitando, così, il passaggio dell'urina nell'uretra.
Entrambi i gruppi di farmaci, però, possono avere degli effetti collaterali. In particolare, la finasteride può ridurre la capacità erettiva del pene, mentre gli alfa-litici possono ridurre la pressione arteriosa e, solo raramente, generare l'eiaculazione retrograda (emissione di sperma "al contrario", verso la vescica anziché all'esterno). Tutti questi effetti, però, scompaiono con la sospensione del trattamento.
Oltre ai farmaci propriamente detti, esistono poi alcune sostanze ed estratti vegetali che sembrano avere un effetto antinfiammatorio e decongestionante sulla prostata.
Se l'ipertrofia è moderata o grave l'urologo predilige quasi sempre il trattamento chirurgico, che può avvalersi di due metodi: l'endoscopico e il chirurgico classico (riservato, ormai, ai soli pazienti con prostate molto voluminose o con particolari caratteristiche):
L'operazione in endoscopia oggi rappresenta l'intervento più diffuso per questo tipo di patologia. In genere, oltre il 90% dei pazienti può essere sottoposto a resezione endoscopica della prostata o TURP (Trans Urethral Resection of Prostate). Il vantaggio è di una migliore accettazione da parte del paziente, in quanto non è richiesta alcuna incisione. Si utilizza uno strumento chiamato recettore, che viene introdotto nel canale uretrale. Grazie ad un'ottica presente sull'apparecchio il medico è in grado di osservare l'interno dell'uretra e di individuare i due lobi prostatici che occludono il canale, i quali verranno tagliati a piccoli pezzi ed infine estratti. In questo modo si ottiene l'allargamento e la disostruzione del canale uretrale. La ferita interna guarisce, in genere, dopo 2-3 giorni di catetere, utilizzato per far defluire l'urina e, se necessario, per effettuare un lavaggio continuo della vescica con acqua sterile. Altri interventi di endoscopia sono la TUIP e la TULIP. La prima è l'incisione della prostata, mediante tagli profondi che permettono di allargare la parte centrale e ostruttiva della prostata; la seconda è, invece, l'incisione transuretrale per mezzo di laser e fotocoagulazione. Quest'ultima tecnica è particolarmente indicata per quei pazienti che presentano un elevato rischio emorragico.

Annapaola Medina



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