SARS: soprattutto paura

07 maggio 2003
Aggiornamenti e focus

SARS: soprattutto paura



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Se uno dei più diffusi settimanali italiani, Panorama, "sbatte in copertina" un occhiello come "che sarà di noi" alludendo alla SARS c'è di che fare gli scongiuri. Non che la stampa italiana sia isolata in questo genere di effettacci: è successo lo stesso in Germania con Die Welt, che ha pubblicato delle curve di diffusione (cioè delle previsioni) del contagio secondo le quali più o meno alla fine di giugno Hong Kong dovrebbe contare ben 71.000 casi. Grande allarme, racconta un articolo di due medici tedeschi pubblicato da Lancet, nelle aziende che hanno rapporti d'affari con l'ex colonia britannica. Peccato che agli stessi dati si poteva legittimamente applicare un'altra curva, secondo la quale la diffusione alla fine dello stesso periodo avrebbe portato a poco più di 2.400 casi. Il fatto è che non si possono trattare questo genere di dati con la stessa disinvoltura con cui si trattano i sondaggi di opinione che in Italia impazzano anche da troppo tempo. In sintesi, applicare curve dell'uno o dell'altro genere ai dati ricavabili all'inizio di un'epidemia è scorretto almeno per due aspetti: non si tiene conto del fatto che le misure di prevenzione del contagio possono avere una loro efficacia nel ridurre la trasmissione e, inoltre, non si tiene conto del fatto che si presenta un'immunità acquisita che limita a sua volta la trasmissione. Infatti, si tenga presente che una persona immunizzata (per via naturale o attraverso le vaccinazioni) rappresenta per il microbo una strada chiusa, quindi non solo non contagia la persona immune, ma non può raggiungere nemmeno le persone con cui questa entra in contatto. Se gli stessi dati su Hong Kong vengono guardati non cumulativamente, ma vedendo i nuovi casi giornalieri si vedrà che a parte alcuni picchi la tendenza è a decrescere.

Ma anche a lume di naso...


La SARS, in Cina, ha cominciato a lavorare nel novembre scorso e, fino a oggi, i casi riportati sono 4409. Casi probabili, si ricordi, perché fino a quando non diventeranno routine i test di amplificazione genica (RT-PCR) che consentono di identificare con certezza il nuovo Coronavirus, in quelle segnalazioni è possibile rientrino anche vecchie conoscenze come il virus sinciziale o altri. Non poi tantissimi su una popolazione che si conta a miliardi e, soprattutto, in una situazione sociosanitaria decisamente carente: basti pensare che grazie a una recente riforma della sanità per essere ricoverati bisogna pagare anticipatamente e poi aspettare il rimborso. In questa situazione non è facile immaginare che tutti coloro che avvertono i sintomi corrano al più vicino pronto soccorso e, di conseguenza, è quasi certo che molti di questi malati siano rimasti piuttosto a lungo a contatto con famigliari e colleghi... eppure i casi sono meno di 5.000. Insomma, come ha dichiarato John Oxford, virologo e docente della Queen Mary School of Medicine (Londra), questo Coronavirus non sembra un fulmine di guerra, come il morbillo per esempio, ma piuttosto un posapiano, come la parotite (gli orecchioni, via). E, ha detto testualmente Oxford "con un virus come quello della parotite uno può soffermarsi 100 volte nella stessa stanza con un paziente contagioso senza essere contagiato". Ne discende che è poco plausibile pensare a una pandemia (epidemia generalizzata), piuttosto che a un problema destinato a restare locale, soprattutto dopo che il governo cinese, e il resto del mondo, sono all'erta per stoppare sul nascere la diffusione. Per inciso, il professor Oxford, che è una delle massime autorità in campo di virus influenzali, ha altresì detto che non vede particolari ragioni di allarme nei paesi europei. Di conseguenza, scappare di fronte a chiunque abbia gli occhi a mandorla, dai venditori di accendini ai gestori delle rosticcerie, è un atto inutile (e volgare).

Ma è grave


Altro aspetto a volte drammatizzato è la prognosi della SARS. I dati più recenti (ma ricavati comunque da un gruppo di 1400 pazienti di Hong Kong) stimano nel 13,2% la mortalità della malattia nei pazienti di età fino a 60 anni e nel 43,3% in quelli di oltre 60 anni. Utilizzando un altro sistema di stima, la percentuale scende al 6,8% fino a 60 anni e sale al 55% nei più anziani. Non è poco, ma è bene considerare che la normale polmonite batterica, quella che causa ben 29 casi ogni 100.000 persone ogni anno in Europa, ha una mortalità del 2-3% nella popolazione generale, sale al 23% negli anziani e, nella sciagurata ipotesi che il quadro sia tanto grave da dover ricorrere alle terapie intensive, al 50%. Questo la polmonite in generale, perché alcuni batteri in particolare possono essere molto più aggressivi: la legionella, per esempio, aveva negli anni ottanta una mortalità del 34% (in tutte le fasce di età e considerando tutte le fonti di contagio: ospedaliero, in comunità eccetera). Poi, migliorata la diagnosi e la terapia, è scesa ma resta pur sempre attorno al 10%. Non è per far fare a tutti un'indigestione di numeri, ma per capire che se si è di fronte a un pericolo è bene paragonarlo ad altri che già ci sono.
In conclusione, "Che ne sarà di noi"? Beh, intanto entro maggio va presentata la dichiarazione dei redditi...

Maurizio Imperiali



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