Impalcatura pericolante

17 aprile 2003
Aggiornamenti e focus

Impalcatura pericolante



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Nel titolo è sintetizzata la dichiarazione del dottor Maurizio Bevilacqua - direttore del Servizio di Endocrinologia e Diabetologia dell'Ospedale L. Sacco, Polo Universitario di Milano - che considera il nostro apparato scheletrico decisamente inadatto a sopportare lo stile di vita dell'uomo moderno. Attenzione però a non farsi trarre in inganno: Bevilacqua non ripropone qui il solito concetto del logorio da stress ma vede nella posizione eretta (dell'Homo sapiens) le ragioni di molti disturbi, in particolare quelli ossei.
A queste conclusioni si può giungere considerando la struttura tridimensionale delle ossa così come analizzandone la reazione a carichi di compressione e forze di trazione e torsione. Studiando le proprietà fisiche delle ossa e confrontandole con le caratteristiche dei materiali utilizzati in architettura, per le strutture di sostegno di palazzi e ponti, si trovano meno similitudini di quanto ci si aspettasse.

La microarchitettura


A parità di massa ossea, ovvero due campioni di osso che hanno lo stesso peso, la resistenza alla compressione non è sempre uguale. Le ossa trabecolari, infatti, come il calcagno e le vertebre, sono formate da lamelle verticali e orizzontali: tanto più fitte sono queste lamelle maggiore è l'efficienza della struttura, esattamente come accade per un ponte sostenuto da molti tiranti. Il tipo di trabecolazione si eredita e, anche nei casi fortunati, può venire compromesso dall'insorgenza dell'osteoporosi.
Analogamente le ossa lunghe che hanno struttura tubolare, come il radio, possono avere differente diametro a parità di peso: l'osso con diametro maggiore resisterà meglio alla torsione. Quest'ultimo fattore avvantaggia i maschietti che, dopo la pubertà, tendono ad avere ossa tonde più grandi; dopo la menopausa, tuttavia, forse per il prevalere di ormoni maschili, anche nelle donne si accresce la circonferenza delle ossa tubolari.
Il femore è un osso misto, in parte tubolare e in parte trabecolare, e come le vertebre ha sofferto molto nel passaggio verso la postura eretta.
L'uomo di Neanderthal, infatti, aveva ossa più tonde e grosse e il collo del femore era più largo (resisteva meglio alla flessione), caratteristiche che l'homo sapiens ha perso e che, invece, si ritrovano ancora nella maggior parte dei mammiferi. Il nostro corpo in sostanza va incontro a modificazioni strutturali per compensare la necessità di stare dritto in piedi. Dai 2 ai 5 anni compaiono due curvature nella colonna vertebrale: quella dorsale e quella lombare, che favoriscono la postura ma anche lo schiacciamento delle vertebre. Intorno ai 6 anni si possono osservare all'interno del collo del femore dei fasci di aree fittamente trabecolate, formatesi proprio per compensare le linee di maggior flessione. Questi fasci rinforzati, infatti, sono completamente assenti negli animali studiati, come il babbuino.

Ristrutturare si può?


Quali sono gli accorgimenti atti a mantenere in buone condizioni la nostra impalcatura?
Raggiungere un buon picco di massa ossea, che significa alimentarsi sin da bambini in modo da assumere adeguate quantità di calcio. Non sottoporre le ossa a sforzi eccessivi, cioè sì all'attività fisica ma sempre misurata sulle proprie capacità.
Sì anche ai farmaci giusti in caso di osteoporosi, in quanto non è sufficiente restituire semplicemente il contenuto minerale dell'osso; proprio in base a quanto detto prima il trattamento ideale dovrebbe non soltanto ripristinare la massa ma impedire alterazioni della microstruttura che, alla fine, è l'elemento fondamentale per la resistenza dell'osso alle sollecitazioni e, quindi, alle fratture. Un farmaco come il risedronato, che appartiene alla famiglia dei bifosfonati, ha dimostrato di conservare la microarchitettura ossea già dopo il primo anno di trattamento e l'azione si mantiene anche dopo 3 anni di terapia. Ne ha parlato estesamente il dottor Giorgio Gandolini - Responsabile dell'Ambulatorio di Reumatologia della Fondazione Don Gnocchi IRCCS di Milano - riferendosi agli studi più recenti su questa molecola. Il risedronato si è dimostrato capace di ridurre, in donne in menopausa con osteoporosi, il rischio di fratture vertebrali del 65% dopo 1 anno, del 75% dopo 3 anni. Analizzando i prelievi bioptici, della cresta iliaca di pazienti che hanno partecipato allo studio, si è evidenziato come il risedronato svolga la sua azione direttamente a livello della microstruttura ossea, che appare significativamente più trabecolata nelle donne sottoposte a trattamento farmacologico.

Elisa Lucchesini



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