I successi delle ricerca farmacologica

08 febbraio 2010
Aggiornamenti e focus

I successi delle ricerca farmacologica



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Può sembrare esagerato, ma sin verso la fine del 1800 la Medicina disponeva più o meno degli stessi farmaci degli antichi Romani, per lo più ottenuti dalle piante e impiegati con indicazioni spesso discutibili, contro malattie delle quali poco o nulla si conosceva.

Solo dopo la scoperta dell'America giunsero nel Vecchio Mondo molte piante medicinali da noi sconosciute, che gli Indios usavano nella loro medicina popolare, come la china, la coca, la gialappa, il guaiàco, l'ipecacuana, la salsapariglia.

Dalla seconda metà dell'Ottocento, con lo sviluppo della chimica e della farmacochimica, da queste e da altre piante cominciarono ad essere estratti e purificati i rispettivi "princìpi attivi", con indicazioni e dosaggi sempre più precisi e mirati.

Un "nuovo" farmaco comparso solo verso la fine del 1700 è derivato dalla digitale così chiamata dalla forma "a dito di guanto" dei suoi fiori. I suoi effetti furono scoperti quasi per caso in Inghilterra dal medico W. Withering, che la impiegò inizialmente come diuretico; essa si dimostrò poi specificamente efficace per potenziare l'attività del miocardio.

Il salto di qualità è però avvenuto all'inizio del XX secolo, prendendo spunto da questa ipotesi: poiché per colorare le stoffe è necessario che i coloranti penetrino nelle fibre, (che sono elementi cellulari), essi potrebbero penetrare anche nella cellula batterica e forse distruggerla. Le prime esperienze diedero ragione ai ricercatori; e uno dei primi farmaci a base di "coloranti per le stoffe", lo storico "Salvarsan 606" efficace contro la sifilide, fruttò al suo scopritore E. von Behring il primo Premio Nobel (1901) della storia.

Per circa trent'anni furono preparati "chemioterapici" di vario tipo contro le più svariate malattie, specie infettive. Ma spesso risultavano di dubbia efficacia; e proprio quando si pensava di aver vinto solo in parte la battaglia contro le infezioni, fu realizzata una nuova rivoluzionaria classe di farmaci: gli antibiotici. Nuova, perché mirava non tanto a "uccidere" i microbi, quanto a impedire loro di vivere (anti-bio) e di riprodursi. Anche in questo caso la scoperta del primo antibiotico (la penicillina) fruttò ai tre scopritori (Fleming, Chain e Florey) il Premio Nobel (1945): Fleming aveva osservato che una muffa (il Penicillium notatum) impedisce a certe classi di batteri di sopravvivere. E riuscì a purificare tale sostanza e a renderla adatta alla terapia. Seguì a ruota la streptomicina, contro la tubercolosi; e da allora la ricerca è riuscita a isolare (o a "fabbricare" ex novo con tecniche biotecnologiche)migliaia di antibiotici sempre più efficaci e sicuri non solo contro i batteri, ma anche contro i virus, mille volte più piccoli di loro e quindi più difficili da colpire.

Naturalmente, i recenti progressi della farmacologia hanno riguardato anche altri campi, il particolare le malattie del cuore, del metabolismo e delle articolazioni. Termini come antipertensivi, statine, beta-bloccanti, cortisonici, antidepressivi... sono ormai familiari al grande pubblico E non si tratta di farmaci che soltanto "guariscono" la malattia, ma che anche la prevengono: vale l'esempio dei primi due ora citati, il cui corretto impiego consente di ridurre drasticamente i casi e le complicazioni (segnatamente trombosi e infarto) dell'ipertensione e del colesterolo alto.

Luciano Sterpellone



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