Tumore alla tiroide, la ricerca è fondamentale

06 maggio 2011
Aggiornamenti e focus, Speciale Tiroide

Tumore alla tiroide, la ricerca è fondamentale



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I numeri sono inequivocabili: il tumore della tiroide è in costante aumento in tutto il mondo, tanto che un recente studio di Cancer stima negli Stati Uniti un incremento dei casi di circa il 10% ogni anno. Un fenomeno che si registra anche in Italia, dove si contano 10 mila nuove diagnosi ogni anno, con tassi di guarigione superiori al 90%, se la malattia viene scoperta in fase precoce. Il tumore colpisce in particolare la popolazione femminile come conferma Riccardo Vigneri, endocrinologo dell'Università di Catania «il tumore alla tiroide è il più cresciuto negli ultimi anni e inevitabilmente ha richiamato molta attenzione. Quanto alla popolazione femminile si stima un rapporto di 3 a 1, con differenze ancora più significative in alcune zone, come la Sicilia dove il rapporto è di 4 a 1. In particolare a essere colpite sono donne giovani, se normalmente l'incidenza dei tumori aumenta con gli anni, per il tumore alla tiroide si ha un picco attorno ai 50 anni e poi una decrescita». Ma quali sono le cause di questa crescita nell'incidenza del tumore?

Difficile stabilire ragioni certe. Un fatto è rappresentato sicuramente dalla maggiore prevenzione e quindi da un maggior numero di diagnosi. Se un tempo il medico usava soltanto le mani per visitare il paziente, con evidenti difficoltà a rilevare i tumori di piccole dimensioni, quelli che hanno avuto la crescita maggiore nell'ultimo decennio, oggi esistono strumenti diagnostici, dall'ecografia all'ago aspirato, che consentono l'immediata individuazione di quelle forme tumorali. «L'effetto dovuto alla diagnosi è indiscutibile» conferma Vigneri «ma non può essere la sola ragione. Un dato sicuramente significativo è che se il tasso di incidenza venti anni fa metteva il tumore alla tiroide al 14esimo posto, oggi è passato al settimo». Altro fattore da prendere in considerazione è quello dell'esposizione alle radiazioni ionizzanti, non solo quelle legate a esplosioni nucleari, come quella recente di Fukushima, ma anche quella da banali radioterapie, in particolare se eseguite in età giovanile. In più sono indagati altri fattori ambientali, genetici o alimentari, ma per ora non ci sono prove precise. «La ricerca epidemiologica da questo punto di vista è particolarmente importante» precisa l'endocrinologo catanese «Per esempio l'incidenza doppia nella zona di Catania rispetto a quella di Palermo è stata attribuita alla presenza di metalli pesanti nella zona dell'Etna. In questo caso si tratta di inquinanti non antropogeni, cioè non prodotti dall'uomo. Ma è indagato anche il ruolo degli inquinanti antropogeni». E i fattori alimentari? «La carenza di iodio nell'alimentazione può essere un fattore di rischio. Non a caso la profilassi iodica è indicata per le conseguenze di un incidente nucleare».

Secondo molti esperti c'è da considerare anche la possibilità di sovradiagnosi, è così? «La possibilità esiste» secondo Vigneri «sia di falsi negativi, molto pochi per la verità, sia di falsi positivi. Ma oggi si dispone di strumenti diagnostici sempre più fini. Dall'ecografia si dovrebbe essere in grado di capire quali noduli sono a rischio e quali no e a quel punto "pungere" quelli a rischio con la procedura dell'ago aspirato». Il materiale così ottenuto viene strisciato su un vetrino per poter essere analizzato e una volta identificate le caratteristiche citologiche si può procedere a una diagnosi certa. Il 60% dei tumori maligni rilevati, secondo le statistiche, sono microcarcinomi. Che cosa si intende? «Si tratta di tumori inferiori al centimetro» risponde Vigneri «per i quali si ipotizza di poter arrivare a rimuovere soltanto una parte di tiroide. Per questo gli studi in corso cercano di capire la differenza molecolare tra i tumori, per arrivare a ottimizzare l'intervento». In che modo? L'obiettivo è quello di ridurre gli interventi, per cominciare, che al momento prevedono la rimozione della ghiandola tiroidea, per arrivare a qualcosa di simile alla quadrantectomia nel tumore alla mammella, con la quale si rimuove solo parte del tessuto mammario. Ma per ora siamo in fase di ricerca» precisa Vigneri. «Per questo riveste una grande importanza sostenere iniziative come quella dell'Airc (per visualizzare la locandina dell'evento cliccare qui) che offrono un grande contributo alla ricerca». Ma quali sono i soggetti a rischio e come possono prevenire il rischio? «Potenzialmente tutti i soggetti con familiarità sono a rischio» risponde l'endocrinologo. «Poi i soggetti che da piccoli siano stati irradiati o che vivono in zone di carenza iodica. Per i quali lo iodio alimentare è particolarmente importante. Il medico è in grado di riconoscere con la palpazione l'esistenza di noduli e a partire dal sospetto si possono poi fare indagini più approfondite». Senza sottoporre le persone a trattamenti in eccesso e ricordando che dalla malattia si guarisce.

Marco Malagutti



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