Agorafobia e panico: quando l’ansia è fuori controllo

22 febbraio 2012
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Agorafobia e panico: quando l’ansia è fuori controllo



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Palpitazioni, brividi, vampate di calore, senso di soffocamento e in pochi secondi, ansia e paura prendono il sopravvento. Un'esplosione di malessere fisico accompagnato da sensazioni mentali di paura di morire o di perdere il controllo. Sono questi alcuni dei sintomi descritti da chi ha vissuto attacchi di panico, eventi in cui si verifica l'attivazione di un sistema di allarme che controlla le funzioni di base del corpo di fronte a un pericolo, ma che, in questo caso, scatta in maniera inattesa e senza una vera minaccia. Si tratta cioè di un falso allarme. Diversa è, invece, l'ansia che coglie chi si trova in situazioni di reale emergenza e di necessità, in tal caso si tratta di una risposta sana e fisiologica dell'individuo che si attiva per affrontare una difficoltà.

«L'escalation è rapida» spiega Giampaolo Perna, direttore scientifico e primario del Dipartimento di neuroscienze di Villa San Benedetto Menni, Albese con Cassano, e professore presso le università di Miami e Maastricht, «e i sintomi impiegano da pochi secondi a una decina di minuti per raggiungere l'apice di intensità con un picco che permane per pochi minuti per poi scendere». Un singolo attacco o qualche episodio sporadico, come capita nel 20-30% della popolazione, non basta per porre la diagnosi di disturbo di panico: «Si parla di vero e proprio disturbo se gli episodi sono rilevanti e attivano un cambiamento nel comportamento della persona» chiarisce Perna «innescando un'ansia anticipatoria sull'attacco, con forte paura che arrivi il successivo, e agorafobia, cioè paura ed evitamento di luoghi in cui si ha il timore di non ricevere aiuto e di non poter scappare, nel caso si stia male». Questo si traduce in un condizionamento importante nella vita del paziente, poiché non si riesce più a stare soli ma allo stesso tempo non si frequentano più i luoghi affollati o chiusi come per esempio un supermercato (paura di non poter fuggire) o spazi aperti isolati e ampi come una piazza. «L'attacco di panico è il fenomeno centrale e di per sé non rappresenta un pericolo né per il paziente né per chi è vicino» aggiunge l'esperto «è la ripresentazione dell'evento che può innescare a cascata, la cosiddetta marcia del panico, una progressione che passa attraverso l'ansia anticipatoria, l'agorafobia e può provocare demoralizzazione e depressione o abuso di alcol e di sostanze».

In genere le persone che vivono questa esperienza presentano vari sintomi tra cui quelli di tipo cardiocircolatorio, come palpitazioni e tachicardia con battiti irregolari, pesanti, ma anche sudorazione, dolore o fastidio al petto, vampate di calore e brividi. Possono presentarsi nausea o disturbi addominali, sbandamento, capogiri, vertigini e tremori. Compaiono anche sintomi psichici come la paura di perdere il controllo o di impazzire fino alla depersonalizzazione, cioè l'alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo. «Poiché spesso i sintomi tipici mimano vere e proprie malattie» sottolinea Perna «spesso ci si rivolge al pronto soccorso o si va dal cardiologo o da un otorino ma in realtà è lo psichiatra lo specialista di riferimento che può prendere in carico il paziente ponendo la diagnosi e avviandolo a una terapia se il l'impatto sulla vita è rilevante».

Il trattamento prevede l'uso di farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina: «Hanno dimostrato efficacia nel prevenire la ricorrenza degli attacchi di panico e in un mese danno già effetti, anche se nelle prime settimane si può avere un peggioramento» chiarisce Perna «inoltre presentano effetti collaterali che vanno valutati caso per caso». L'altro punto saldo del trattamento è la psicoterapia cognitivo-comportamentale: «Permette di avere dei miglioramenti in sei mesi o un anno e di ripristinare il comportamento normale della persona. In genere i due approcci vengono combinati». È stato anche dimostrato che possono essere di aiuto interventi integrativi con attività fisica aerobica (3 volte alla settimana per 30 minuti), tecniche di controllo della respirazione e tecniche di riabilitazione vestibolare. «Imparare a controllare il respiro può essere molto utile per prevenire l'esplosione dei sintomi dell'attacco» conclude l'esperto «rallentarlo o respirare in un sacchetto permette di regolarizzare i gas respiratori contenuti nel sangue, alterati dall'attivazione provocata dall'eccessivo stato di allerta che instaura un circolo vizioso che a sua volta contribuisce all'esplosione dei sintomi».

Simona Zazzetta



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