Alzheimer: serve una bussola per l’assistenza

14 settembre 2011
Interviste

Alzheimer: serve una bussola per l’assistenza



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Secondo il Rapporto mondiale Alzheimer 2011 i malati di Alzheimer e di altre demenze sono oggi stimati 36 milioni nel mondo, un milione nel nostro Paese, 20mila nella sola città di Milano. Un'emergenza sanitaria che viene ricordata il 21 settembre in occasione della XVIII Giornata mondiale dell'Alzheimer. In Italia, nonostante i progressi ottenuti, la presenza e la distribuzione di servizi assistenziali adeguati sono ancora molto lontane dalle necessità dei malati, di questo si occupa la Federazione Alzheimer Italia che riunisce e coordina le 46 associazioni locali che si occupano di Alzheimer e si adopera dal 1993, anno della sua fondazione, per guidare i malati e i loro familiari nella ricerca di soluzioni alle problematiche di carattere medico, sociale e legale che caratterizzano questa malattia. Dica33 ne ha parlato con Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia

A che punto siamo in Italia per l'assistenza a questi malati?
La disponibilità di servizi e cure è molto variabile sul territorio, più ricca al nord e meno al centro e al sud, tuttavia la carenza principale è anche quella più elementare: mancano gli indirizzi. Serve una guida che possa aiutare pazienti e famiglie a individuare le strutture alle quali rivolgersi perché senza un percorso idoneo, tracciato dallo specialista o dal medico di famiglia, orientarsi da soli è davvero difficile.


Come il database che la Federazione Alzheimer Italia ha creato insieme all'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri per le strutture lombarde?
Esattamente, il nostro obiettivo sarebbe avere un documento simile per ogni regione italiana. Però si tratta di un lavoro lungo e costoso, a partire dalle molte telefonate fatte per aggiornare i recapiti delle strutture, fino alla raccolta e valutazione dei servizi che vengono offerti. Noi mettiamo a disposizione le risorse che abbiamo, però vorremmo incontrare maggior collaborazione da parte delle regioni. Per ora la Aulss 21 di Legnago nel Veneto ha dato disponibilità a rispondere al nostro censimento, mentre Liguria e Toscana, per esempio hanno già un elenco completo, che andrebbe solo aggiornato.


Da dove inizia il cammino di questi malati?
Dalla diagnosi, in genere posta da un neurologo o da un geriatra, che dovrebbe essere confermata in un centro Uva (unità valutative Alzheimer), passo obbligatorio per ottenere la prescrizione dei farmaci a carico del servizio sanitario nazionale. Tutte le altre opzioni di assistenza, come l'accesso o il ricovero in Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), Centri diurni Alzheimer (Cda), Centri diurni integrati (Cdi) e Istituti di riabilitazione (Idr), sono a pagamento nella maggior parte dei casi, con la possibilità magari di usufruire di contributi regionali o comunali sulla base del reddito e del grado di disabilità riconosciuto.


Oltre ai farmaci, che purtroppo non sono risolutivi, quali sono gli interventi terapeutici di supporto più efficaci?
Non è facile rispondere perché molto dipende dalle caratteristiche del paziente, dal suo grado di disabilità fisica e cognitiva certo, ma soprattutto dalle sue abitudini e attitudini pre-malattia, che vanno il più possibile mantenute e preservate. Idealmente chi conosce bene il malato, il parente che se ne prende cura e il medico di famiglia, dovrebbe scegliere una terapia e poi verificarne l'efficacia, cioè il gradimento da parte del malato.


E se il malato rifiuta di curarsi?
Nei casi di demenza, in generale, il rifiuto della malattia è piuttosto frequente e comprensibile, soprattutto nelle prime fasi, quando la perdita di autonomia è minima, e proprio su questo occorre riflettere. Prima che alla malattia, infatti, bisognerebbe orientarsi alla disabilità che crea progressivamente: un disabile, inserito in un ambiente adatto o con strumenti appositi, può continuare a svolgere molte delle sue attività abituali. Questo è il primo significato del prendersi cura di un malato di Alzheimer: creare un ambiente adatto a lui per farlo sentire meno a disagio, meno invalido, meno malato.


E si può fare?
Si può fare già oggi e si può migliorare ancora. Assistere questi malati non è semplice né indolore, ma le informazioni che abbiamo oggi sono davvero molte e molto utili. Non esiste ancora un percorso strutturato tuttavia, per creare una rete che colleghi i servizi esistenti, si potrebbe già copiare il modello di servizi per la Salute mentale, oltre che mutuare spunti dalle varie esperienze internazionali. E magari istituzionalizzare un luogo, o meglio una figura (il Medico di medicina generale) capace di fare da collettore e dispensatore delle informazioni, almeno di quelle necessarie per gestire i momenti di emergenza.

Elisabetta Lucchesini




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