Parte a Milano un progetto per capire meglio i risvegli dal coma

14 dicembre 2015
Interviste

Parte a Milano un progetto per capire meglio i risvegli dal coma



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L'Ospedale Niguarda di Milano, e la sua neurorianimazione, diventeranno un polo di eccellenza per lo studio dei pazienti in coma. Un progetto di ricerca, finanziato dal ministero della Salute e realizzato in collaborazione con l'Università di Milano Bicocca e con l'Università di Pavia aiuterà infatti i medici a capire con maggiore sicurezza quali pazienti hanno più probabilità di risvegliarsi e quali, invece, hanno la prognosi peggiore.
Ne abbiamo parlato con Eraldo Paulesu, vicedirettore del Centro di neuroscienze dell'ateneo di Milano Bicocca e docente di neuroscienze cognitive, che collabora alla messa a punto del protocollo di esami che dovrebbe finalmente aprire una finestra su quanto accade nella mente di queste persone sospese tra la vita e la morte.

Professor Paulesu, come è nata l'idea di questa ricerca?
«Da almeno dieci anni il mondo della ricerca sul coma è cambiato. Se un tempo l'attività cerebrale delle persone in questo stato non era esplorabile, alcuni studi, tra cui quelli di Adrian Owen, hanno dimostrato che dietro un volto inespressivo e un corpo immobile ci possono essere residui di coscienza. Per farlo Owen ha utilizzato un protocollo piuttosto complesso, che analizza, con la risonanza magnetica funzionale, la risposta del cervello ad alcune domande poste dall'esaminatore per capire se la persona in coma è in grado di intendere quello che le si chiede oppure no. Grazie a queste scoperte pionieristiche oggi sappiamo distinguere i veri comi dalle cosiddette sindrome locked-in (letteralmente "chiusi dentro") in cui vi è una coscienza intatta o quasi intatta all'interno di un corpo incapace di comunicare. Ma anche in casi meno estremi di questi è possibile individuare residui di coscienza, e sappiamo che quando questo accade il paziente ha più probabilità di risvegliarsi dal coma».

Qual è il vantaggio di sapere in anticipo cosa accadrà?
«Il coma è una situazione particolare, sia per i medici sia per i familiari. I primi hanno bisogno di sapere che risultati possono avere loro interventi, talvolta molto intensi e costosi. In un servizio sanitario sempre più in crisi, è importante poter concentrare gli sforzi di riabilitazione sulle persone che hanno qualche probabilità in più di riprendersi. Direi però che avere un'idea della prognosi è ancora più essenziale per le famiglie, che possono trovarsi a convivere per mesi, se non per anni, con un familiare incosciente. È giusto aiutarli a sperare se ci sono gli estremi per farlo, ma anche a prendere atto di una situazione che può essere irreversibile e che richiede cambiamenti nell'organizzazione della loro vita, se invece i segnali sono negativi».

In che cosa la vostra ricerca si differenzierà da quelle già in corso in altri centri?
«L'Ospedale Niguarda ha una neurorianimazione, diretta dal dottor Arturo Chieregato, che deve spesso far fronte a casi del genere perché è uno dei centri di punta per le emergenze nel Nord Italia, e sappiamo bene che in molti casi il coma è l'esito di incidenti stradali o comunque di emergenze mediche. Da molti anni l'Ospedale collabora con l'Università Bicocca e con l'Università di Pavia, attraverso il Centro di neuropsicologia cognitiva, diretto dalla professoressa Gabriella Bottini, che fornirà anch'esso le sue competenze e la sua collaborazione per esaminare i pazienti. Questo ci consente di utilizzare un'ampia gamma di strumenti: dalla risonanza magnetica funzionale, per fare valutazioni simili a quelle che ha fatto Owen nei suoi studi, alla valutazione cognitiva classica fino alla registrazione dei potenziali elettrici cerebrali, combinata ad altri dati elettrofisiologici. Tutti questi strumenti ci permetteranno di capire se la persona in coma sta rispondendo in modo cosciente alle nostre domande o se c'è comunque un'attività cerebrale cosciente».

Se registrerete dei segnali, ciò significa che la persona è "sveglia" dentro un corpo immobile?
«Non necessariamente. La coscienza non è un blocco unico, non è una funzione che o c'è o non c'è. Può anche essere presente parzialmente. Possiamo paragonarla alla vista, in senso metaforico. Ci sono molte situazioni intermedie tra una vista perfetta e la cecità. Ecco, con la coscienza accade un fenomeno analogo: capire quanto grave è la situazione ci permetterà di prevedere - o almeno così speriamo - il destino della persona. Idealmente vorremmo arrivare a predire non solo se si sveglierà o meno, ma anche se esiste un legame tra quello che vediamo mentre è in coma e la gravità del danno cerebrale che si manifesterà dopo il risveglio. Siamo fiduciosi: abbiamo già condotto uno studio pilota su circa 10 pazienti, prima di ottenere il finanziamento del Ministero, e i risultati sono promettenti».

Fabio Turone



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