La depressione dell'anziano: disturbo comune, ma ancora sottovalutato

05 dicembre 2016
Interviste, Speciale Depressione

La depressione dell'anziano: disturbo comune, ma ancora sottovalutato



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La nostra è sempre più una società anziana, ma sotto molti punti di vista non è ancora pronta a vivere come tale e a dare a tutti la possibilità di affrontare la vecchiaia in modo dignitoso e sano, con gli strumenti giusti per gestire i cambiamenti fisici e psicologici di questa fase della vita. Sulla depressione nell'anziano si concentra il libro La depressione dell'anziano edito da Lswr e scritto a quattro mani da Emilio Sacchetti, Professore Ordinario di Psichiatria alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Brescia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria presso lo stesso ateneo, e Massimo Clerici, Professore Associato di Psichiatria presso la Scuola di Medicina e Chirurgia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria dell'Università degli Studi di Milano Bicocca. Emilio Sacchetti ci accompagna alla scoperta di alcuni aspetti della depressione negli anziani.

Professor Sacchetti, perché scrivere un libro sulla depressione nell'anziano?
«I motivi sono molti, ma vorrei partire da uno piuttosto banale ovvero la diffusione della depressione che, assieme all'ansia, è uno dei disturbi psichiatrici più comuni anche tra gli anziani. Nonostante la sua diffusione però la depressione nell'anziano è un'area dimenticata, rappresenta un po' la cenerentola della depressione: i servizi sono scadenti, è più difficile arrivare alla diagnosi e spesso non offrono tutte le opzioni che sarebbe possibile offrire».

Cosa rende complicato arrivare alla diagnosi di depressione nell'anziano?
«Innanzitutto è bene premettere che ci possono essere due tipi di anziani depressi: quelli che hanno sviluppato il disturbo molti anni prima e se lo portano dietro da quando erano più giovani, e quelli nei quali il disturbo insorge tardi. E se il disturbo arriva quando la persona è già anziana spesso il medico deve confrontarsi anche con altre patologie presenti che possono rendere complicata la diagnosi. Non dimentichiamo poi che il paziente anziano spesso assume molte terapie e anche questo fattore può contribuire a confondere le carte in tavola e a rendere complesse diagnosi e cura».

Quali sono le principali cause di depressione nel paziente anziano?
«La depressione, indipendentemente dall'età in cui insorge, è una patologia multideterminata: in altri termini sono davvero molti i fattori che contribuiscono al suo sviluppo e che possono essere di origine genetica, ma anche ambientale come per esempio un lutto, un abbandono, la mancanza di rapporti sociali e molti altri ancora. Tutte queste concause si mescolano ed è praticamente impossibile definire in modo preciso cosa determina la patologia».

Esistono campanelli di allarme che possono far pensare a una forma iniziale di depressione e ai quali gli anziani e i loro familiari devono prestare attenzione?
«Nell'anziano è un po' più difficile identificare segni chiari e precisi di depressione. In generale vale la regola che se una persona non è mai stata depressa dovrebbe essere più semplice vedere il cambio di comportamento e di umore anche se spesso i segni della depressione vengono confusi con quelli di una malattia clinica diversa (neurologica, vascolare, eccetera). Diciamo che si deve osservare un "cambio di funzionamento".
È molto importante prestare attenzione alla capacità di interagire con gli altri, alla perdita di interesse per cose che prima interessavano, alla tendenza a isolarsi e ritrarsi, a essere apatico e svogliato. Spesso questi segni non significano depressione, ma sono comunque campanelli d'allarme che dovrebbero spingere a cercare un approfondimento ricordando che ogni ritardo nella diagnosi significa sofferenza per il paziente e riduce le possibilità di curare in modo efficace».

Come può intervenire la famiglia nei casi in cui una persona anziana soffra di depressione?
«La famiglia, quando presente, può essere di aiuto in molti modi: dal ricordare al paziente le terapie, a stare più vicino all'anziano, cercando di essere presente in modo empatico. Non si deve cioè prendere il posto dell'anziano o diventarne il "tutore", ma lo si deve piuttosto ascoltare e sostenere senza forzarlo, rispettando gli spazi personali e i limiti imposti dall'età e dalla malattia, facendo sentire il proprio supporto e la propria presenza senza essere invadenti. Il depresso, anziano o no, deve capire che esiste un filo diretto con la persona che lo vuole aiutare, ma - tranne in casi particolari - deve essere il paziente stesso a muovere questo filo».

E quanto conta invece rivolgersi allo specialista?
«Purtroppo ancora oggi la cura della depressione (e più in generale delle malattie psichiatriche) è un problema. Non perché non ci siano strumenti efficaci - farmaci e psicoterapie lo sono - ma piuttosto per una serie di pregiudizi e stigmi legati a questi argomenti. Il primo è verso i disturbi mentali in assoluto, depressione compresa: ci si vergogna di soffrirne, ci si preoccupa di cosa pensa il vicino, eccetera.
Il secondo è rivolto invece ai farmaci utilizzati per questi disturbi, spesso assimilati alle droghe e di conseguenza non facilmente accettati.
Il terzo stigma è verso lo psichiatra al quale si preferiscono spesso altri specialisti, dallo psicologo al neurologo, passando per il geriatra. In realtà serve un lavoro di equipe: la gestione del paziente anziano con problematiche mentali dovrebbe essere decisa non da un solo specialista, ma da più figure che collaborano e intervengono da diversi punti di vista».

Quanto conta lo stile di vita nella depressione?
«Questo è un argomento di grande importanza e che stiamo imparando da poco ad applicare nella pratica. Tutti i pazienti con problemi mentali hanno la tendenza a seguire uno stile di vita poco salutare fatto di sedentarietà e dieta non equilibrata, troppo scarse o troppo abbondanti in termini di apporto energetico. Correggere questi stili di vita poco salutari può senza dubbio essere utile per prevenire depressione e declino cognitivo, non solo nei pazienti anziani.
E per correggerli bastano pochi semplici passi: la dieta mediterranea è il regime alimentare migliore e per quanto riguarda l'esercizio fisico si può pensare a una passeggiata quotidiana, magari con qualche amico, a un corso di ballo o a molto altro ancora, sempre nel rispetto delle proprie preferenze e dei limiti che l'età avanzata può imporre».

Cristina Ferrario



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