Lo strano caso Avastin-Lucentis: luci e ombre secondo Luca Pani, ex Direttore generale Aifa

27 luglio 2017
Interviste

Lo strano caso Avastin-Lucentis: luci e ombre secondo Luca Pani, ex Direttore generale Aifa



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Si chiama degenerazione maculare ed è una malattia che provoca una riduzione della funzionalità della zona centrale della retina (la "macula") fino a una possibile perdita della vista. In Italia si calcola che ne sia affetto circa un milione di persone, tra diagnosticati e non.

I diretti interessati sono sicuramente al corrente delle polemiche di questi anni legati all'uso di due farmaci, uno chiamato Lucentis (ranibizumab il principio attivo), specificamente studiato e autorizzato per l'uso nella maculopatia ma con prezzo elevato, l'altro, chiamato Avastin (bevacizumab), impiegato per la cura dei tumori che però, senza indicazione specifica e autorizzata, gli oculisti possono utilizzare a costi decisamente più bassi garantendo, a loro dire, un maggior accesso alle cure.

Le accuse alle aziende produttrici, Roche e Novartis, sono state quelle di fare cartello: le due molecole, con meccanismo d'azione identico ma struttura differente, sono di proprietà Roche la quale ha ceduto ranibizumab a Novartis che l'ha sviluppata per l'impiego nella maculopatia, mentre si è tenuta bevacizumab solo per l'impiego in oncologia. In sintesi, Roche avrebbe lasciato campo libero a Novartis (a sua volta azionista di Roche) in ambito oftalmologico, puntando sulle royalties, pur avendo un farmaco potenzialmente utile nello stesso ambito clinico.

Dalle accuse si è passati alle vie legali e nel febbraio 2014 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha comminato a Roche e Novartis una multa di circa 180 milioni di euro per il supposto cartello. Le aziende si sono rivolte prima al Tar del Lazio, vedendosi respinto il ricorso e poi al Consiglio di Stato che ha demandato la questione alla Corte di giustizia europea che dovrà esprimersi nei prossimi mesi.

In questi giorni Luca Pani, ex Direttore generale di Aifa (Agenzia italiana del farmaco), ha dato alle stampe un pamphlet sull'argomento, (Lo strano caso Avastin-Lucentis, edizioni Edra) con l'intento di fare chiarezza sull'operato dell'Agenzia riguardo al caso durante il suo mandato che tante polemiche suscitò.

Un centinaio di pagine tese a ribadire il ruolo degli Enti regolatori e quali siano le conseguenze della loro indipendenza di valutazione e giudizio, in un contesto in cui si rischia, nella scelta di soluzioni terapeutiche da mettere a disposizione dei cittadini, di far prevalere criteri economici rispetto a quelli di efficacia e sicurezza.


Prof. Pani, qual è stata la posizione di Aifa, nel periodo della sua direzione, rispetto al caso Avastin-Lucentis?
«I dati controllati che dimostrano come l'uso di una qualunque molecola o cellula sia autorizzabile per impiego terapeutico, devono venire da studi registrativi in quella specifica patologia e non in un'altra. L'impiego fuori indicazione - cioè in condizioni non autorizzate - così come quello compassionevole si possono fare solo in condizioni eccezionali, in mancanza di alternative autorizzate e sotto diretto controllo e responsabilità medica. Quelli che ci hanno definito "servi sciocchi corrotti e collusi" - perché si è sentito anche questo - scopriranno invece che la stessa rettitudine che ha rivelato al mondo la truffa di Stamina ha protetto la salute dei cittadini nel caso Avastin-Lucentis».

Avastin-Lucentis come la truffa di Stamina. Ovvero?
«Argomenti come "abbiamo sempre fatto così" oppure "non esiste nessun effetto collaterale" che hanno accomunato per anni le litanie di Vannoni e Andolina o di alcuni - non tutti va detto - oculisti italiani, oltre che palesare una preoccupante ignoranza della farmacologia generale e dei principi regolatori, denotano una pericolosa attitudine al "condono scientifico" e quindi puntano verso un possibile "abuso medico" nell'assenza degli organi di controllo. Nel caso di Avastin/Lucentis molti strilli da parte di questi signori sul web e sui giornali ma ben poco sulla letteratura scientifica, fanno venire il legittimo sospetto, come peraltro denunciato da alcuni pazienti, che a certi specialisti possa essere mancato il tempo - o il coraggio? - di informare i malati che esistevano due farmaci ma che solo uno era stato autorizzato per la patologia di cui erano affetti e che se il professionista avesse scelto quello meno costoso lo avrebbe fatto sotto la sua personale responsabilità, anche penale, come prescritto dalla legge».

Lei sostiene che l'operato dall'Agcm nella vicenda costituisce un deterrente della ricerca scientifica in Italia. In che senso?
«No, non esattamente. Io mi sono limitato a far notare come dei criteri e delle conseguenze dell'uso off-label di qualsiasi farmaco che sono cruciali nell'attività di una Agenzia regolatoria evidentemente l'Agcm non ne abbia tenuto conto. È come se si obliasse il fatto che il mercato dei farmaci è sottoposto a numerosissimi vincoli e controlli, a regole che non sono inferiori o meno importanti di quelle che sorvegliano la concorrenza dei mercati. È una grave violazione delle norme poste a tutela della salute dei cittadini il fatto di mettere in commercio un prodotto che non è stato approvato da autorità nazionali o comunitarie ed è un altrettanto grave violazione quando il farmaco si trova in commercio, non rispettare minimamente i principi che lo sottopongono a una farmacovigilanza di sicurezza ed efficacia».

Intravvede rischi di un reale cartello nella vicenda?
«Sin dalle prime pagine chiarisco che siamo tutti concordi sul fatto che, se confermato dalla Corte europea a cui il nostro Consiglio di Stato ha rinviato la decisione finale, questo cartello andrà punito senza alcuna pietà. Le domande che però si pongono i regolatori/pagatori sono altre e precisamente: oltre quello commerciale esistevano e magari esistono ancora anche evidenze scientifiche che dimostrano come la Roche possieda dati controllati che supportano una sicurezza e un'efficacia intravitreale dell'Avastin non inferiore a quello del Lucentis e che nonostante questo abbia deciso di non registrarlo? È per caso ipotizzabile, ma è solo una speculazione che certamente non si applicherà a nessun oculista del nostro Paese, che il Servizio sanitario nazionale abbia pagato dei trattamenti convenzionati tutto compreso - farmaco incluso quindi - la stessa cifra anche se il medicinale costava in un caso 30 euro e nell'altro 700? E che qualcuno non abbia controllato? E, infine, se i due farmaci fossero costati lo stesso identico prezzo di 30 euro gli oculisti cosa avrebbero scelto?».

Nicola Miglino



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