Dormire bene è il segreto per evitare le abbuffate serali

25 luglio 2017
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Dormire bene è il segreto per evitare le abbuffate serali



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Dormire bene potrebbe essere l'antidoto al desiderio di mangiare "cibo spazzatura" la sera di ritorno dal lavoro. «Capita spesso di buttarsi sul cibo, in particolare su quello poco sano, quando si torna da una giornata di lavoro particolarmente stressante» esordisce Chu-Hsiang (Daisy) Chang, professore associato di psicologia alla Michigan state university e co-autrice di uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Journal of applied psychology.

La ricerca condotta dai ricercatori statunitensi, una delle prime a valutare come le esperienze psicologiche sul luogo di lavoro possano influenzare i comportamenti alimentari, ha coinvolto un totale 235 uomini e donne cinesi impiegati nel settore delle tecnologie informatiche o in call-center. «Il primo gruppo affrontava spesso un carico di lavoro molto pesante e sentiva di non avere mai abbastanza tempo per portare a termine i propri compiti, mentre il secondo gruppo era spesso stressato dal confronto con clienti scortesi e troppo pretenziosi» affermano gli autori che poi aggiungono: «In entrambi i gruppi lo stress professionale portava i partecipanti a essere di cattivo umore sul lavoro e a buttarsi sul cosiddetto junk food, il cibo spazzatura, una volta attivati a casa».

Lo studio ha però messo in luce un rapporto stretto tra buon sonno, stress e consumo di cibo "consolatorio". «Abbiamo notato che chi dorme un sonno ristoratore è meno suscettibile a un eccesso di cibo poco sano la sera successiva anche dopo una giornata lavorativa carica di stress» precisano gli autori che poi spiegano: «Dormire bene permette ai lavoratori di recuperare le forze e di ricaricarsi per poter affrontare al meglio lo stress del giorno successivo». Ecco perché, come dicono gli esperti d'oltre oceano, le aziende dovrebbero prestare maggiore attenzione agli aspetti legati alla salute e al benessere, magari adottando anche orari più flessibili.

Fonte: J Appl Psychol. 2017. doi: 10.1037/apl0000209



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