Re: depersonalizzazione

10 luglio 2002

Re: depersonalizzazione


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05 luglio 2002

Re: depersonalizzazione

La ringrazio molto di avermi risposto. Non sono certo gli altri a impedirmi di vivere qualsiasi esperienza, sono io invece che non posso fare a meno di allontanarle e rifiutarle per una specie di paura o vigliaccheria. Anche sforzandomi ogni volta prevale l’angoscia e mi adagio nel mio isolamento. Gli impulsi autolesionisti mi spingono il più delle volte a farmi dei graffi o dei tagli più o meno profondi ma mai gravi sulle gambe e sulle braccia. Oltre alla tricotillomania, che non so se si può classificare come autolesionismo. In entrambi i casi ne provo come una specie di piacere assurdo. Questa situazione è cominciata sei anni fa, con un netto peggioramento due anni dopo, in seguito a una specie di crisi di panico. L’autolesionismo però risale a molto prima, anche da bambina mi capitava di ferirmi apposta. Non credo ci sia stato un accadimento particolare, magari un’insieme di circostanze che si sono accumulate: la morte di un compagno di scuola, la malattia grave di un parente, la fine della scuola e inizio dell’università. Credo che la scuola in un certo senso mi costringesse almeno in parte alla socialità. Quello che mi è impossibile è creare dei legami scelti, volontari, per i quali non posso appoggiarmi all’obbligo. Forse non sono chiara, intendo dire che l’asocialità all’interno di un organismo sociale, come la scuola, diventa subito un particolare tipo di socialità. Crea un rapporto anche se fondato sull’opposizione. Quando l’organismo sociale obbligatorio manca, l’asocialità diventa totale isolamento. Almeno a me è successo così. Poi ho perso del tutto l’abitudine, e ora anche nelle situazioni obbligate sono preda dell’imbarazzo e dell’angoscia. E’ chiaro che questa situazione influisce anche sugli impegni di studio e di lavoro, che evito in tutti i modi finché posso, limitandomi alle più strette necessità. Questo almeno fino a poco tempo fa, perché ormai anche le più assolute necessità universitarie mi sembrano diventate impossibili, e sono spesso tentata di abbandonare. Lo avrei già fatto se non fossi adesso proprio alla fine. Sarebbe assurdo lasciare ora, ma proprio non riesco ad andare avanti. A volte temo che la mia totale impotenza possa sviluppare in me una malattia grave per creare una via d’uscita. La ringrazio di nuovo per l’attenzione.

Risposta del 10 luglio 2002

Risposta a cura di:
Dott. MAURO MILARDI


Quello che risalta da quanto scritto è questa sua difficoltà nel relazionarsi con gli altri e del disagio che ciò le provoca. Probabilmente si tratta di alcuni aspetti di fondo della sua personalità. Vi sono anche degli aspetti indicativi della presenza di Ansia (questa è la esatta lettura della tricotillomania), dichiarata anche quando afferma che allontana o rifiuta le situazioni per una "specie di paura o vigliaccheria". Detto questo perch‚ non cercare di modificare qualcosa per introdurre un po' di felicità in una vita così giovane ? Un possibile inizio potrebbe essere il seguire un training di Assertività. Questo per acquisire maggiore sicurezza in s‚, migliorando le possibilità relazionali e riducendo l' Ansia. Si rivolga tranquillamente ad uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale della sua zona.

Dott. MAURO MILARDI
Medico Ospedaliero
Specialista attività privata



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