Quando il cervello fa tilt

08 settembre 2020
Aggiornamenti e focus

Quando il cervello fa tilt



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Di tutto l'ossigeno che entra dai polmoni, l'85% viene consumato dal cervello; particolarmente ingordi sono i neuroni che, essendo alquanto numerosi, necessitano di grandi quantità di energia per funzionare adeguatamente. Qualora l'apporto venisse a mancare o risultasse ridotto, si verificherebbero modificazioni importanti, strutturali e funzionali. I neuroni, infatti, privati di ossigeno e delle altre sostanze nutrienti, in particolare il glucosio, anche per pochi minuti, esauriscono rapidamente le riserve energetiche e iniziano a morire.
Poiché le riserve di glucosio sono più abbondanti dell'apporto di ossigeno si instaura un metabolismo anaerobio con produzione di acido lattico che determina uno stato di acidosi. Il rilascio e il riassorbimento di neurotrasmettitori non avviene più con regolarità portando all'attivazione di mediatori del danno cellulare. Infine, dall'ossidazione parziale si formano radicali liberi che danneggiano il DNA. Nel complesso, questi eventi innescano un meccanismo di morte programmata (apoptosi) che interessa i neuroni colpiti e tende a estendersi anche alle aree circostanti in cui si verifica comunque una perfusione sanguigna ridotta, ma dove le cellule restano vitali ancora per alcune ore.

Circolazione interrotta

Il mancato apporto di sangue può essere l'esito di eventi distinti, poiché sono svariati i motivi per cui il sangue può non riuscire a raggiungere il cervello. Tra i più importanti è l'ischemia che si verifica quando la circolazione viene interrotta a causa di un'ostruzione del vaso, in questo caso un'arteria, che irrora il tessuto cerebrale. I trombi in questo distretto tendono a formarsi in vasi sanguigni danneggiati dall'aterosclerosi, cioè da depositi di sostanze grasse sulle pareti arteriose interne, che tendono a restringere il lume del vaso. Lo stesso risultato si verifica quando nel sistema circolatorio si forma un grumo di sangue, l'embolo, che viaggia nel flusso, si fissa nell'arteria cerebrale e, se sufficientemente grande, blocca la corrente sanguigna verso il cervello.
L'ischemia rende conto dell'85% degli ictus, una minoranza di casi è invece attribuibile a emorragia, e per quanto meno comune è più frequentemente fatale. Quando un vaso sanguigno del cervello si rompe il sangue si riversa nei tessuti cerebrali circostanti danneggiando le cellule. Tutte le aree cerebrali che si trovano oltre l'emorragia non ricevono più sangue e subiscono lo stesso danno dell'ictus ischemico. La causa più comune dell'emorragia intracerebrale è la pressione alta, l'ipertensione, infatti, rende le arterie cerebrali fragili e suscettibili a rotture o incrinature.
L'emorragia può anche verificarsi nello spazio subaracnoideo, cioè tra la superficie del cervello e il cranio; la causa più comune in questo caso è un aneurisma, un rigonfiamento del vaso dovuto alla dilatazione della parete dell'arteria che, nel tempo, si assottiglia abbastanza da rompersi. Le arterie vicine all'emorragia subaracnoidea tendono a contrarsi e a entrare in vasospasmo impedendo al sangue di fluire regolarmente. Esistono, infine, rare malformazioni congenite arterovenose caratterizzate dalla sottigliezza delle pareti dei vasi sanguigni che predispongono, tra l'altro, a emorragie intracerebrali o subaracnoidee.

Sintomi inconfondibili

La prontezza nel riconoscimento dei segnali e nell'intervento può essere fondamentale e fare la differenza tra la vita e la morte del paziente. I sintomi sono molto spesso improvvisi e riportano insensibilità o paralisi unilaterale, confusione e difficoltà nel parlare e seguire i discorsi, capogiri e perdita di equilibrio e coordinazione, emicranie anomale accompagnate da dolori al volto, vomito e alterazioni dello stato di coscienza. La severità dei sintomi può progredire o oscillare durante il primo o il secondo giorno, ma se i sintomi scompaiono entro le prime 24 ore si tratta di un attacco ischemico transitorio (TIA). Apparentemente non lascia danni, ma è un segnale molto importante di rischio che indica, con molta probabilità, prossimi episodi imminenti: il 20% dei casi di TIA evolvono in ictus entro l'anno.
La scelta di ricorrere all'intervento medico, farmacologico e/o chirurgico, in seguito a un attacco transitorio molto spesso previene ictus fatali o gravemente invalidanti.

Fonti

  • Consiglio Nazionale delle Ricerche
  • Medline Plus



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