Meglio non star fermi

24 ottobre 2008
Aggiornamenti e focus

Meglio non star fermi



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Quando le articolazioni smettono di funzionare bene, e vanno incontro ad artrite o ad artrosi, indipendentemente dal processo che le determina, la conseguenza più probabile è una progressiva immobilizzazione. Clinicamente questo si traduce in perdita di funzionalità, abbassamento della qualità della vita e aumento del rischio di sviluppare altre patologie legate a uno stato di salute comunque compromesso. Prevenire questo stato di cose ed evitare di perdere la funzionalità residua è possibile, terapie e riabilitazione sono gli strumenti fondamentali a disposizione del paziente e raccomandati dalle linee guida.

Esercizio terapeutico


Una delle raccomandazioni più stressate è di fare attività fisica, indipendentemente dalla terapia o gestione definite per la malattia. Molti studi hanno valutato gli effetti dell'esercizio fisico, inteso come movimento del corpo che comporta un dispendio energetico e articolato in movimenti ripetuti, strutturati e pianificati con l'obiettivo di migliorare e mantenere un benessere fisico. Il risultato generale erano benefici a vari livelli: migliore funzionalità fisica, migliore controllo del dolore, senza effetti negativi sul decorso del disturbo. Tuttavia a queste evidenze non corrisponde una realtà congruente di pazienti che frequentano o seguono programmi di attività fisica. Per esempio, dati del 2007 indicano che la maggioranza dei pazienti con artrite reumatoide era fisicamente inattiva: una percentuale che oscillava dal 60 a oltre l'80% non faceva esercizio settimanale e solo il 13% lo faceva tre o più volte alla settimana. Analisi più approfondite, presentate più volte in occasione dell'EULAR, il congresso annuale della Lega europea contro le malattie reumatiche, hanno rilevato quali potrebbero essere i principali ostacoli che impediscono ai pazienti di procedere secondo linee guida. Sembra essere un'eredità culturale di una situazione clinica risalente ad alcune decine di anni fa quando le patologie reumatiche, meno note, e diagnosticate in ritardo erano più gravi e devastanti. Allora i pazienti venivano consigliati a limitare o evitare l'esercizio fisico per paura che potesse peggiorare il decorso e danneggiare ulteriormente le articolazioni.

Motivazione per muoversi


Uno di questi studi, realizzato in Svezia ha rilevato che tra le ragioni di questa inattività poteva esserci il dolore, ma anche la paura del dolore, nonché la poca motivazione. Attraverso questionari che valutavano la durata, l'intensità e la frequenza dell'esercizio fisico, ma anche l'attitudine a mettere in relazione il dolore con l'attività e le convinzioni su come l'attività influenzasse il dolore, gli esperti hanno compreso che in un programma di riabilitazione, è necessario includere metodi cognitivo-comportamentali e strategie volte a modificare il comportamento. Non a caso, una recente metanalisi sostenuta dal National Institute of Health, su 28 studi, ha rilevato che gli adulti con patologie articolari su cui si interveniva con un'attività fisica, supportata da un programma educazionale, oltre a migliorare funzionalità e dolore, aumentavano, o mantenevano, anche il livello della loro attività. Incontri individuali, o in gruppo, in cui era possibile discutere con il paziente e con chi se ne prendeva cura, fornire strumenti per monitorare la propria attività, dare un riscontro di quanto si sta già facendo, accordarsi sugli obiettivi da raggiungere e trovare soluzioni ai singoli problemi, si sono dimostrati una strategia efficace per motivare queste persone a non trascurare una parte integrante della terapia. Anche perché a star fermi si può solo peggiorare.

Simona Zazzetta



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