Personalità poco salutari

16 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Personalità poco salutari



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Un vero e proprio collegamento interdisciplinare tra medicina e psicologia non c'è mai stato ma già il chiamare in causa lo stress come fattore di rischio in alcune patologie si orienta in questa direzione. Proprio perché gli stessi medici sono consapevoli che alcuni tratti della personalità e alcuni modi di affrontare la realtà possono influenzare l'incidenza e l'andamento di una malattia cronica.
L'insieme dei fattori psicosociali, che includono lo stress vissuto o subito al lavoro o a casa sono legati a un incremento dell'incidenza dell'infarto in misura simile ad altri noti fattori di rischio, come obesità, ipertensione e diabete. Il legame è stato dimostrato in molti studi, mentre più deboli rimangono le prove a supporto di un'associazione con il rischio di tumore. Per esempio in studi sul tumore al seno si è notato che non c'era corrispondenza tra eventi stressanti e aumento del rischio. Solo in un popolazione danese di donne che avevano perso il figlio, si osservava la comparsa della neoplasia a distanza di 7-18 anni dall'evento.
Tuttavia l'ipotesi che la personalità possa influenzare queste due patologie rimane, e un contributo alla sua valutazione arriva da uno studio recente molto ampio in cui alcuni aspetti vengono confermati e rafforzati mentre altri restano deboli e poco significativi.

Padroni della propria salute


Per circa otto anni e mezzo sono state seguite oltre 5000, persone, uomini e donne che all'inizio dello studio (inizio anni '90) avevano tra i 40 e i 65 anni. Il profilo della loro personalità è stato tracciato grazie a questionari standardizzati, fino a riuscire a individuare cinque parametri da misurare con un punteggio (basso, medio, alto). In pratica sono stati valutati i sintomi depressivi, la capacità di controllare attacchi di rabbia, la sensazione di non avere mai tempo, la convinzione che la propria salute (e quindi anche le malattie) dipenda da propri comportamenti, e infine, ampliando il raggio di analisi, il grado di coinvolgimento nei rapporti interpersonali (psicoticismo, secondo una definizione tecnica). Tra il 2002-2003 gli stessi soggetti sono stati valutati nuovamente e del campione, 257 erano deceduti, 72 avevano avuto una diagnosi di attacco di cuore, 62 di ictus e 240 di tumore. Sulla base della combinazione dei due dati raccolti è emerso che nessuno degli aspetti della personalità presi in considerazione erano associabili a un evento di ictus. Rispetto all'infarto invece si percepivano delle differenze: una forte convinzione di poter influire sulla propria salute faceva abbassare il rischio di infarto del 33%, al contrario se questa convinzione era debole il rischio aumentava dell'84% se confrontati con chi aveva un livello medio. Mostravano inoltre un rischio incrementato i soggetti che avevano un livello estremo di coinvolgimento nei rapporti interpersonali, se era alto saliva del 28% se era basso arrivava al 59% in più. Ancora un volta, invece, si confermava la totale autonomia tra la personalità del soggetto e il rischio di sviluppare un tumore, anzi nel caso della cosiddetta fame di tempo che non c'è, si aveva addirittura una riduzione quando questa sensazione era forte.

Risultati che non convincono


Molto difficile, quindi, muoversi in questo ambito senza dati significativi e per ora frammentari e a volte discordanti, e tutt'altro che facili da trattare come fattori indipendenti. Gli stessi autori del lavoro invocano modelli più sofisticati che permettano di fare dissertazioni più affidabili. Quello che per ora colpisce è che i tratti delle personalità presi in considerazioni sono piuttosto stabili nel tempo, e si direbbe che più sono predeterminati, cioè meno fluttuanti magari in funzione degli eventi, più si possono considerare elementi per predire il rischio per la salute.

Simona Zazzetta



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