Dove colpirà l'amianto

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Dove colpirà l'amianto



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Gli enti internazionali e i ricercatori sono assolutamente concordi: c’è da aspettarsi un’epidemia delle malattie dovute all’esposizione ad amianto. Sia dell’asbestosi, malattia in cui si ha una degenerazione diffusa del tessuto polmonare, sia dei tumori, mesoteliomi, dovuti al minerale, che si localizzano in particolare alla pleura e al peritoneo, cioè le membrane sierose che rivestono rispettivamentge polmoni e intestino.
Tuttavia, se la previsione è certa, e i dati disponibili collimano con le proiezioni, resta difficile fare previsioni più accurate per i singoli paesi. A questo contribuiscono diversi aspetti. Per esempio, la lunga latenza tra esposizione e sviluppo della malattia, poi la difficoltà di quantificare il livello di esposizione lavorativa e di esposizione ambientale, senza contare che il bando di questo materiale, oggi generalizzato nel mondo occidentale, è stato applicato in tempi differenti. Di fatto, una stima conservativa valuta che dal 20 al 40% degli adulti oggi viventi sia stato esposto sul lavoro all’amianto. Ma poco altro si sa.

Un dato oggettivo


Una ricerca ha cercato allora di trovare una misura surrogata dell’esposizione di una popolazione nel suo complesso. L’indicatore prescelto è stato il consumo pro-capite di amianto in un certo periodo, il decennio 1960-1969, cioè il periodo in cui si ebbe la masima espansione dell’impiego di questo materiale. Il consumo è stato calcolato sommando la produzione e l’importazione di amianto di ciascun paese e sottraendo le esportazioni del minerale. Dopodiché si è tracciata la correlazione statistica tra il numero di morti, nel periodo 2000-2004 dovute ad asbestosi, al mesotelioma pleurico e a quello peritoneale e ai decessi dovuti in genere ai mesoteliomi. Questi, infatti, possono svilupparsi anche in altre sedi e, soprattutto, non sempre i dati sui certificati di morte riportano anche la sede, oltre al tipo di tumore. In totale, questi dati, consumo e mortalità, erano disponibili per 33 paesi, che rappresentavano il 63% del consumo totale di amianto nel periodo considerato e il 22% della popolazione mondiale nel periodo 2000-2004. Sfortunatamente, mentre per America, Europa e Oceania si trattava di un campione molto grande (male che vada il 48% della popolazione), Africa e Asia erano gravemente sottorappresentate (rispettivamente l’8 e il 5% della popolazione).

Differenze forti tra i sessi


I risultati confermano l’ipotesi di partenza. Infatti le morti per tutti i mesoteliomi aumentano di 2,4 volte per ciascun kg di amianto consumato in più tra gli uomini e di 1,6 volte tra le donne. Tra gli uomini, ma non tra le donne, si è poi visto che il mesotelioma pleurico aumentava di 1,8 volte, sempre per ogni kg di amianto in più. L’associazione tra i consumi e la mortalità riprende a riguardare entrambi i sessi per il mesotelioma peritoneale: aumento di 2,2 volte per gli uomini e 1,4 volte per le donne. Tornava a essere solo maschile, invece, la correlazione con l’asbestosi (mortalità di 2,7 volte superiore per ogni kg consumato in più).
Gli autori concludono che in assenza di indici più diretti, il consumo del minerale può servire a prevedere con una discreta approssimazione quali aree pagheranno il tributo più pesante. Peraltro, i risultati concordano con quelli di altri studi più piccoli svolti in precedenza. La differenza tra uomini e donne, dal canto suo, può essere spiegata in modi differenti. Per esempio, potrebbe effettivamente trattarsi di un riflesso della diversa esposizione lavorativa, nell’ipotesi che nei cantieri navali o ferroviari le donne non erano certamente molto rappresentate. Peraltro, la differenza in termini relativi è forte: il rapporto tra morti per asbestosi maschi e femmine è di 8 a 1, la differenza maggiore, mentre si raggiunge la parità soltanto per il mesotelioma peritoneale. Resta un altro capitolo aperto, ed è quello del rapporto tra amianto e cancro del polmone: dal punto di vista biologico un rapporto c’è, ma è tale l’effetto confondente del fumo che è difficile stabilire una relazione. Di fatto, con questo studio è evidente che i responsabili sanitari hanno in mano uno strumento adeguato a programmare gli interventi del caso. Non è poco.

Maurizio Imperiali



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