La fatica è una sindrome

09 aprile 2004
Aggiornamenti e focus

La fatica è una sindrome



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Cronic Fatigue Sindrome, sindrome da affaticamento cronico in sigla CFS. Questa la definizione di uno stato patologico identificato negli anni novanta, ma che ricorda molto altre malattie in passato classificate con diversi nomi, da neurastenia al più banale "esaurimento". Secondo i non molti dati disponibili la prevalenza (diffusione) è variabile: i dati statunitensi parlano 10-200 persone affette ogni 100 mila; studi britannici hanno aumento di molto il valore: anche 700 persone ogni 100 mila. Molto dipende ovviamente da come si definisce la diagnosi e da quale popolazione si indaga (un conto i ricoverati in ospedale, un altro i campioni presi nella comunità). E' certo che di CSF non si muore, ma è anche abbastanza difficile descrivere esattamente che cosa sia, in modo da stabilire che se un paziente presenta i tali sintomi, con i tali segni clinici senz'altro è un "affaticato cronico". In poche parole, si tratta di uno stato di stanchezza che non ha una causa evidente, ma che comunque, secondo le linee guida, per esempio, dei Centers for Disease Control statunitensi, deve essere tale da ridurre di almeno il 50% la normale capacità di svolgere un lavoro (in senso fisico) per un periodo prolungato.

Sintomi generici, anzi ambigui


Le manifestazioni che possono far pensare alla CFS sono molte: principalmente la sensazione di affaticamento sia a riposo sia dopo un esercizio e la febbricola persistente, ma a questi se ne aggiungono molti altri che vanno dalle ricorrenti faringiti ai dolori muscolari e delle articolazioni, in cui però non si accompagna il gonfiore delle giunture tipico delle malattie articolari classiche. Vi sono poi disturbi di tipo nervoso-psichico. Tra i primi rientrano la fotofobia, la sensazione di offuscamento del sensorio, la comparsa o l'aggravamento delle cefalee; tra i secondi l'ansia, l'irritabilità, le difficoltà della memoria e scarsa capacità di concentrazione, ma anche i tratti della vera e propria depressione. Si tratta di segni abbastanza generici, comuni a molte condizioni debilitanti, non ultimo anche il malessere generale che si verifica anche al cambiamento del ritmo di vita dovuto, per esempio, alle stagioni. Quello che fa la differenza è la durata dei sintomi. Si può sospettare la presenza di CFS se questo stato si protrae da almeno sei mesi.

Procedere per esclusione


In effetti, però, sono molte anche le condizioni che possono determinare questo quadro di spossatezza. Per esempio le malattie che, con meccanismi diversi, influiscono sulla produzione di energia nell'organismo: l'anemia, l'ipoglicemia o, al contrario, il diabete, le disfunzioni della tiroide. Accanto a queste condizioni ve ne sono altre più gravi. Per esempio la presenza di un tumore non diagnosticato. Poi si apre il capitolo delle malattie infettive. Alcune infezioni gravi possono dare sintomi che per durata e natura si sovrappongono a quelli della CFS: l'epatite, la tubercolosi, la brucellosi e la toxoplasmosi.
In effetti quella infettiva, anzi virale, è la spiegazione più frequentemente riportata per la comparsa della sindrome. Infezioni dovute a virus di verso tipo, come quello di Epstein Barr o quello della meningoencefalite mialgica (MEM) sono il precedente più frequente nelle persone che manifestano la CFS vera e propria.
Non esistono quindi test specifici, anche la ricerca degli anticorpi contro questi virus ha senso fino a un certo punto, dal momento che non esistono trattamenti risolutivi. Molto del lavoro diagnostico punta piuttosto a eliminare la possibilità che siano presenti le malattie citate prima.

Poche cure e tutte sullo stesso piano

L'esito della CFS è piuttosto variabile. In alcuni casi si risolve spontamente entro un anno. In altri può occorrere molto più tempo, anche tre-quattro anni. Come anticipato, non vi è mortalità per la CFS, tuttavia sono possibili alcune complicanze, di tipo psicologico e sociale. Il paziente affetto da CFS può isolarsi dal contesto sociale, perché incapace di svolgere il suo lavoro o le sue attività ricreative e questo può generare, se non è già presente, a una vera e propria forma depressiva. I trattamenti possibili sono solo sintomatici: vale a dire che in presenza di tratti depressivi si curano quelli, che si trattano ansia e insonnia eccetera. In linea generale tutti i trattamenti che sostengono il tono, compresi anche i vituperati ricostituenti, possono avere un ruolo in attesa che il disturbo si risolva. Non sembrano invece di alcun aiuto trattamenti più mirati, per esempio gli steroidi o gli antivirali. I casi in cui la sindrome diventa realmente cronica sono fortunatamente pochi.

Maurizio Imperiali



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