Crisi di coppia e figli: vademecum per una separazione senza traumi

10 gennaio 2014
Interviste

Crisi di coppia e figli: vademecum per una separazione senza traumi



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La crisi del rapporto di coppia e la conseguente decisione di separarsi comporta sempre uno stravolgimento nella vita di due persone. La difficile situazione diventa ancora più delicata quando i coniugi hanno figli, in particolare bambini piccoli.
I figli, infatti, risentono della separazione dei genitori, tutto il loro equilibrio viene scosso e la loro vita scombussolata. Le reazioni a questa decisione presa dagli adulti possono essere le più disparate, proprio a testimonianza del malessere per la nuova realtà.

Come devono comportarsi allora gli ex-coniugi? Come devono approcciare i figli e spiegare loro questa nuova condizione? Come rendere l'evento il meno traumatico possibile?
Abbiamo girato questi e altri interrogativi a Costanza Marzotto, docente di psicologa all'università Cattolica di Milano e mediatrice familiare, tra i responsabili del "Gruppo di parola per figli di genitori separati", un ciclo di incontri che prevede il confronto tra psicologi, bambini e genitori, che si terrà all'Università Cattolica di Milano tra il 13 gennaio e il 5 febbraio.

Professoressa Marzotto, qual è il modo più corretto per comunicare ai bambini piccoli, tra i 6 e i 12 anni, la decisione di una separazione?
La separazione dei genitori, ma prima ancora il conflitto che porta alla rottura del patto coniugale è qualcosa che i figli percepiscono molto chiaramente in famiglia: pertanto l'informazione diretta è essenziale.

Innanzitutto i genitori devono decidere se informare i figli insieme o separati. Evidentemente la prima scelta è la più opportuna in quanto garantisce una comunicazione coerente e condivisa, ed evita l'attacco e la critica l'uno dell'altro.

Secondariamente è importante rassicurare i figli sulle responsabilità: si sentono sempre la causa del conflitto, invece devono capire che è una decisione unicamente dei grandi.

Infine, i bambini richiedono di avere certezze: vogliono sapere di essere ancora amati dai genitori e vogliono avere informazioni pratiche sul loro futuro, ad esempio dove e come incontreranno ancora parenti, familiari, amici, ecc.

Secondo la sua esperienza con i bambini, quali sono per loro le conseguenze dovute alla scelta: i sentimenti e le paure?
Tra i sentimenti nominati dai partecipanti al "Gruppo di parola" emerge la paura di perdere tutti e due i genitori: spesso ci sentiamo dire "se va via papà, poi potrebbe lasciarmi anche la mamma".

Inoltre, spesso mettono in relazione una loro monellata con la decisione: ovvero si sentono la causa del conflitto.

Altri possibili sentimenti: a volte la vergogna, una bimba di dieci anni nel gruppo una volta ci disse "anche se molti compagni hanno genitori divisi, io non volevo entrare a far parte di quel gruppo"; tanto dolore per la perdita della coppia "sacra" per eccellenza; possibile conflitto di lealtà nei confronti di un genitore se l'altro chiede di mantenere dei segreti.

Infine, se "usati" dagli adulti come paladini della loro posizione, rischiano di schierarsi con un genitore - cosa per loro per niente naturale: i figli desiderano la continuità della coppia genitoriale alla quale fare riferimento al di là di tutto -, con la sua famiglia, e contro l'altro.
Oppure rischiano la "parentificazione": prendono cioè la posizione di fare il genitore di mamma o di papà, che sentono fragile o in difficoltà.
Ai bambini serve invece che ciascuno continui a parlare "bene" dell'altro/a per non perdere la fiducia nei legami.

Quali le "tipiche" manifestazioni di disagio espresse dai bambini?
Il disagio si può manifestare in modo esplicito o più indiretto.
Espressioni evidenti sono ad esempio il peggioramento del rendimento scolastico: "la testa è piena delle urla tra papà e mamma e non posso concentrarmi sui compiti", diceva un ragazzino al gruppo; o una maggiore sensibilità e cattivo umore.
Altri bambini, esprimono la difficoltà in modo più indiretto, spesso per non dare ulteriore dispiacere al genitore con cui abitano e che percepiscono come vittima: hanno dolori di pancia, febbri improvvise e altre reazioni psicosomatiche.

Per dare un consiglio ai genitori che devono affrontare una separazione. Si possono stabilire dei punti chiave, regole di comportamento, anche molto pratici, per rendere l'evento il meno traumatico possibile?
Non ci sono regole precise, ma la mia esperienza di molti anni con genitori e figli di separati mi ha portato a pensare che la regola aurea è quella di riconoscere i figli come soggetti a pieno titolo e pertanto degni di essere degli interlocutori significativi, non oggetti che non vedono e non sentono i comportamenti di adulti, ma nemmeno i "sovrani" che decidono tutto, anche della sorte dei genitori.
E poi, prendersi un po' di tempo per "vederli" e accorgersi del loro dispiacere e offrire loro occasioni per parlare della faccenda, in forma diretta, ma anche usando giocattoli, animali di peluche, o i libri appositamente pubblicati per parlare del divorzio.
Dare comunicazioni, ma sostare anche con lui per permettergli di dire quello che prova e in parte dire che la decisione è difficile anche per noi adulti, anche gli adulti sbagliano.

Quando rivolgersi a uno specialista?
Quando se ne sente il bisogno: di solito è utile per gli adulti essere supportati, e solo in seconda istanza presentando il figlio a uno specialista con i suoi eventuali sintomi. Ai figli serve di più essere informati, far parte di un gruppo dove sentono di non essere gli unici ad appartenere ad una famiglia separata, condividere l'esperienza con altri bambini per trovare utili strategie per fronteggiare la situazione. Devono poter dire come si sentono - "sia bene" - per la fine delle urla in casa - che "male" - per la partenza da casa di un genitore.

Ilaria Pedretti



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