Aneurismi trattati senza conseguenze

12 settembre 2010
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Aneurismi trattati senza conseguenze



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Da sempre intervenire sullaorta toracica comportava un certo rischio di paraplegia, che è stato annullato grazie alle ricerche del Cardiologico Monzino

Limportanza della ricerca traslazionale, quella in cui i risultati del laboratorio vengono immediatamente applicate in corsia, è ancora più evidente quando si tratta di chirurgia. Se si tratta, per esempio, della grande chirurgia vascolare, quella di cui si occupa il professor Paolo Biglioli, direttore scientifico e direttore della Chirurgia Cardiaca e Vascolare dell IRCCS Cardiologico Monzino di Milano. Alla chirurgia vascolare competono per esempio gli interventi sullaorta resi necessari dalla presenza di aneurismi. Laneurisma può essere considerato laltra faccia della malattia aterosclerotica: questultima, infatti, può causare la stenosi (restringimento) del vaso, come accade nelle coronarie, oppure provocarne la dilatazione, cioè laneurisma, e la rottura o lo slaminamento della parete(dissecazione). ''I fattori di rischio della formazione di un aneurisma sono quindi gli stessi dellinfarto, come lipercolesterolemia e lipertensione arteriosa. Secondo alcuni studi americani, lincidenza degli aneurismi varia dal 4 al 6% della popolazione oltre i 60 anni e se negli anni la prevenzione è migliorata, giungono ancora al chirurgo persone colpite da aneurismi, soprattutto giovani, ai quali non è mai stata misurata la pressione''. Fortunatamente sugli aneurismi è possibile intervenire con successo, anche quando si produce la rottura dellaneurisma stesso. Ed è proprio nel trattamento degli aneurismi aortici che lèquipe del professor Biglioli ha realizzato una scoperta che ha rimesso in discussione anche un aspetto cruciale degli studi anatomici sullaorta toracica e sulla vascolarizzazione del midollo spinale.

''Per spiegarla occorre una premessa'' dice Biglioli. ''La chirurgia dellaorta toracica discendente è sempre stata il limbo della chirurgia vascolare, perchè il cardiochirurgo, di norma, si occupa del tratto superiore, fino allarco aortico, mentre il chirurgo vascolare difficilmente opera sul tratto superiore al diaframma. Un limbo anche perchè negli interventi sullaorta discendente toracica si ha un 15-20% di casi in cui si presenta la paraplegia''. Questa percentuale di paralisi dovute allintervento, oltretutto, non sembrava variare da una casistica allaltra in misura significativa indipendentemente dalluso della circolazione extracorporea totale o parziale, dalla somministrazione di farmaci per proteggere il midollo spinale e, in qualche misura, anche indipendentemente dallabilità delloperatore. ''Era evidente che cera una motivazione precisa alla base di questa situazione che ancora non era stata identificata. Per questo abbiamo ripreso in mano tutti i lavori anatomici, di biochimica e di bioingegneria dedicati a questo aspetto, e abbiamo scoperto una contraddizione nella descrizione del sistema vascolare di questarea. Tutto ha avuto origine dallerrore di un disegnatore, che poi è stato riportato da buona parte della letteratura successiva. Il nodo è larteria spinale anteriore, che è il vaso che irrora il midollo spinale. Alcuni autori sostenevano che questo vaso fosse interrotto, altri che invece era continuo. Attraverso le autopsie, abbiamo potuto stabilire che in realtà larteria spinale anteriore nei bipedi, nelluomo e nei primati, è continua, mentre nei quadrupedi è interrotta''. Intervenire sullaorta toracica senza tenerlo presente significa sottoporre il midollo spinale a uno stress tale da provocare in alcuni casi la morte del tessuto e, quindi, la paraplegia. ''Abbiamo concluso che lunico modo per evitare questa conseguenza è interrompere il flusso dellarteria spinale per non più di 20 minuti: infatti se lossigenazione viene ripristinata entro questo periodo di tempo, detto shadow time, non si hanno conseguenze permanenti sul tessuto nervoso. Sono otto anni che interveniamo sugli aneurismi dellaorta toracica discendente senza registrare nessun caso di paraplegia''.

La tecnica messa a punto dallèquipe del professor Biglioli è stata adottata in tutto il mondo. Quello dellèquipe del professor Biglioli, come si vede è un risultato che ha inciso immediatamente sulle prospettive di guarigione del paziente e ha ampliato significativamente le possibilità di intervento del chirurgo. Ma la ricerca, al Monzino, continua. ''Attualmente, per quanto riguarda la chirurgia vascolare, le nostre ricerche si centrano sullimpiego delle endoprotesi, cioè delle protesi posizionate nellarteria senza procedere alla tradizionale incisione, ma servendosi della stessa tecnica percutanea che si impiega per dilatare le coronarie e applicare gli stent. Anche per la chirurgia vascolare sta accadendo quanto si è verificato per la chirurgia generale: interventi sempre meno invasivi che causano minori traumi al paziente, sono più veloci e richiedono ricoveri di durata ridotta''.



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