Nuovi virus, comparse sfuggenti

17 aprile 2009
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Nuovi virus, comparse sfuggenti



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L'esperienza drammatica degli anni 80, quando numerosissimi pazienti sottoposti a trasfusioni vennero contaminati dal virus dellAIDS e il 74% dei soggetti emofilici che assumevano il fattore VIII (fattore di coagulazione concentrato, CFC) divenne sieropositivo, fece alzare il livello di guardia sui farmaci emoderivati e tanto più sui preparati di sangue intero. Da allora, questo tipo di terapia è diventata sicura perchè sottoposta a controlli più stringenti, e il rischio di contrarre malattie infettive è attualmente molto basso. Tuttavia resta alta la vigilanza sulla possibilità di nuove contaminazioni da nuovi virus, per i quali non esistono controlli di routine. Il rischio di contagio è diverso nei due tipi di terapia. Nel caso del sangue usato per le trasfusioni, dipende dalla diffusione dellagente infettivo e, quindi, il fenomeno rimarrebbe isolato nella comunità. Con i fattori di coagulazione concentrati, il rischio amplia i confini, perchè, dal luogo di raccolta e di frazionamento del plasma, i prodotti vengono esportati da un continente allaltro e somministrati a pazienti in comunità dove potrebbero non essere note le misure di gestione della malattia provocata dal patogeno. Un fenomeno che rappresenterebbe, nella comunità ''ricevente'' linsorgenza di una nuova malattia.

Barriere superate

Secondo la National Academy of Sciences, il termine emergente si associa a una nuova identificazione, allinsorgenza di resistenza ai farmaci o alla ricomparsa di una malattia precedentemente debellata. Inoltre, lincidenza dellinfezione deve risultare incrementata rispetto alle due decadi precedenti o essere in procinto di aumentare nel futuro prossimo. La prima fase della comparsa di una nuova infezione è lintroduzione, che si verifica quando un nuovo patogeno entra in contatto con una nuova popolazione ospite, o quando modifica il suo normale schema di interazione con la popolazione che già lo ospita. Questa fase rappresenta il passaggio del patogeno tra popolazioni diverse, ma in particolare la trasmissione interspecifica, o zoonotica. Per essere pronto a diffondersi nella popolazione ospite, il patogeno si stabilizza nella fase di adattamento, alla quale contribuiscono parecchi fattori: viaggi e commercio internazionali, carenze nella sanità pubblica, sviluppo economico e uso del territorio, migrazioni e cambiamenti demografici. Esempi di questo processo sono il virus dellHIV, trasmesso alluomo da una specie di scimpanzè, o il Nipah virus responsabile di unencefalite letale. Lospite naturale era una specie di pipistrello tropicale, la volpe volante, ma quando gli agricoltori del Sud-Est asiatico hanno colonizzato le aree deforestate, il loro bestiame è stato contagiato dal virus e, alla fine degli anni 90, è stata segnalata unepidemia nei maiali con successiva trasmissione alluomo. Altri esempi sono il virus di Ebola e la febbre della Rift Valley che hanno seguito uno schema simile.
La capacità di superare le barriere interspecifiche deriva da mutazioni genetiche, frequenti nel genoma virale; perchè diventino vantaggiose, però, devono verificarsi condizioni ambientali in cui il virus può utilizzare i nuovi strumenti che ha a disposizione. Per esempio, soggetti immunodepressi, malati di Aids, persone sottoposte a trapianto o con difetti immunitari congeniti, possono favorire ladattamento del virus allospite umano che li sfrutta come ponte per arrivare alla popolazione sana.

Quelli che ce l'hanno fatta

Le infezioni trasmissibili mediante trasfusione di sangue sono caratterizzate da una fase lunga e silente, in cui il soggetto infettato è solo portatore sano senza sintomi rilevanti. Si tratta di una finestra altamente pericolosa in cui il donatore è molto infettivo, perchè la sua condizione resta invisibile. Rispondono a questi criteri il virus dellepatite B e C, lHIV, i virus linfotropici umani delle cellule T I e II e il virus West Nile, per i quali infatti sono previsti controlli di routine proprio per rendere sicuri il sangue trasfuso e gli emoderivati. Una strategia che sicuramente rassicura pazienti come gli emofilici, continuamente sottoposti questo tipo di terapia, ma che comunque li lascia potenzialmente esposti a quei virus non inclusi negli screening di routine, proprio perchè non noti. Non è un caso infatti che la ricerca farmacologica si sia orientata verso fattori di coagulazione allestiti come plasmaderivati o come fattori ricombinanti. Questi ultimi sono arrivati alla terza generazione e si suppone che, con le tecniche di trasferimento genico, ci sarà una completa emancipazione dalla raccolta di sangue o plasma per questi scopi.

Simona Zazzetta

Fonte:
  • Ludlam CA et al. Clinical perspectives of emerging pathogens in bleeding disorders The Lancet 2006; 367:252-261



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