Il superlavoro c’è anche in corsia

28 aprile 2006
Aggiornamenti e focus

Il superlavoro c’è anche in corsia



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Per una volta, si parla non di pazienti ma di medici. In particolare di ospedalieri e di superlavoro. Come ormai dovrebbe essere arcinoto dopo le innumerevoli serie di telefilm nosocomiali, negli Stati Uniti (ma anche in Gran Bretagna) gran parte del carico di lavoro grava su specializzandi e tirocinanti, tutti medici che, oltre a studiare e formarsi, devono anche svolgere attività di cura vera e propria. I turni, effettivamente, erano massacranti e i casi di sindrome da burnout erano piuttosto numerosi. Una situazione che non soltanto influiva sul medico ma, secondo gli studi, anche sulle cure erogate ai ricoverati. Di qui, nel luglio del 2003, lintroduzione di una limitazione agli orari di lavoro degli specializzandi, che prevede un tetto massimo di 80 ore settimanali di servizio (facendo la media di 4 settimane) e non più di 24 ore consecutive (con 6 ore aggiuntive per ''passare'' i pazienti a chi subentra e per la formazione); inoltre, è obbligatorio un riposo di almeno 24 ore continuate, intervalli di 10 ore tra un turno e laltro e un limite di non più di una ''notte'' su 3.
Questa normativa, oltre aspettative di miglioramento delle condizioni di lavoro e delle cure prestate, ha suscitato anche qualche timore. Per esempio, che i medici potessero assumere una mentalità da ''timbratura del cartellino'', a tutto svantaggio dei pazienti, o che riducessero il loro impegno nella formazione.
Come sempre in questi casi, è stato condotto uno studio che ha valutato che cosa fosse cambiato dopo lintroduzione dei nuovi orari, paragonando le risposte a una serie di questionari fornite da un gruppo di medici attivo prima della riforma e da un gruppo in formazione dopo la sua introduzione.

Meno esaurimenti, errori ridotti, ma...
Il primo risultato, cioè quello relativo al benessere degli specializzandi è positivo: con il vecchio sistema, più della metà degli intervistati presentava i tratti caratteristici dellesaurimento emotivo mentre nella fase successiva la diagnosi era applicabile solo al 40% del campione. Inoltre aumentava notevolmente il numero degli specializzandi soddisfatti della loro attività: dal 66% all80%. In compenso restavano invariati i tassi di depressione o il senso di spersonalizzazione. Meno scontati i risultati per quanto riguarda la cura dei pazienti. Infatti per il 29% degli intervistati la situazione è migliorata, per il 34% i nuovi orari non hanno cambiato nulla e per il 37% le cose sono invece peggiorate. La risposta va spiegata: gli specializzandi in maggioranza concordano sul fatto che con un carico di lavoro inferiore è meno facile commettere errori dovuti a stanchezza e distrazione, e ammettono di riuscire a dedicare maggiore energia allassistenza. Però, lamentano anche di avere un ruolo meno attivo nella cura del paziente, in quanto devono condividerla con altri colleghi e il 47% ha anche dichiarato che almeno due volte al mese è capitato loro di aver dovuto ''smontare'' quando avrebbero preferito restare con il paziente, il 25% ha detto addirittura di aver dovuto ''tagliare corto'' per rispettare lorario. Anche sullaspetto formativo non sono mancate lamentele, in particolare quella che rimane meno tempo per seguire i medici formatori, insomma per imparare dal vivo.
Secondo gli autori dello studio, in conclusione, i primi due obiettivi della riforma, la salute psicofisica del medico in formazione e il miglioramento delle prestazioni, sono stati parzialmente raggiunti: al di là di tutto, una minore frequenza delle sviste e degli errori è un buon risultato, anche se per un medico dover ''passare'' il proprio paziente a un altro non è certo il massimo dal punto di vista professionale. Sembra invece essere stato mancato lobiettivo di per quanto riguarda la formazione: in effetti il maggior tempo libero da dedicare allo studio su libri e riviste non può compensare il ridursi dellesperienza sul campo.
Quello che lo studio dice a chi dellospedale è solo un utente, invece, è molto semplice: far funzionare una struttura sanitaria è tuttaltro che semplice e, magari, prima di gridare alla malasanità è il caso di considerare quante variabili entrano in gioco anche quando lorganizzazione è al meglio. Poi gli errori vanno eliminati sempre, per quanto possibile.

Maurizio Imperiali

Fonti

Goitein L et al. The Effects of Work-Hour Limitations on Resident Well-being, Patient Care, andEducation in an Internal Medicine Residency Program. Arch Intern Med. 2005 Dec 26;165(22):2601-6.



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