L’Università italiana può fare di più per la salute futura degli studenti

09 novembre 2015
Interviste

L’Università italiana può fare di più per la salute futura degli studenti



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Gli anni dell'Università sono anni in cui si completa il passaggio all'età adulta, e in cui molti studenti compiono già scelte autonome, spesso optando per stili di vita poco sani: questo dicono i risultati dell'ampia indagine "Sportello Salute Giovani" condotta da un gruppo di ricercatori dell'Università Cattolica di Roma in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità (Iss). Dica33 ne ha parlato con Maria Luisa Di Pietro, tra i coordinatori scientifici dello studio, pubblicato sugli Annali dell'Iss.

Professoressa Di Pietro, che cosa ha rilevato la vostra indagine, che ha coinvolto oltre 8.500 studenti in dieci Università pubbliche e private di tutta Italia?
«L'indagine ha rilevato numerosi aspetti critici. I ragazzi non mangiano sufficienti quantità di frutta e verdura - solo 4 su 10 seguono le raccomandazioni nazionali sul consumo quotidiano di frutta e appena 2 su 10 quelle sulla verdura - fanno poco movimento - ben 3 su 10 non svolgono attività fisica regolare - e 3 su 10 hanno fumano. Il dato sul consumo di alcolici ci dice che 4 su 10 consumano settimanalmente vino e birra, anche se non distingue tra consumo accettabile di quantità moderate una o due volte alla settimana e abuso pericoloso. Inoltre abbiamo rilevato che ben 3 studentesse su 10 dichiarano di non aver mai fatto una visita ginecologica, il che solleva preoccupazioni sulla loro salute riproduttiva. Poi c'è il capitolo delle nuove tecnologie, che sono evidentemente utili ma espongono anch'esse al rischio di abuso e dipendenza».

Questo significa che gli universitari non godono di buona salute?
«No. Anche se i dati ci dicono che il loro stile di vita non è granché sano, la stragrande maggioranza degli studenti dichiara di sentirsi in buona o ottima salute.
D'altra parte è normale che a vent'anni ci si senta invincibili, e che l'importanza della prevenzione non appaia con chiarezza».

Come mai gli studenti non colgono l'importanza della prevenzione?
«Per tutti, e non solo per gli studenti, si tratta di sforzarsi nel modificare le proprie abitudini per adottare misure che non hanno mai un effetto immediato. I benefici dell'alimentazione completa ed equilibrata, dell'attività fisica e di tutte le misure di prevenzione si cominciano a misurare solo a distanza di qualche anno. E anche in questo caso per l'individuo non è sempre facile vedere l'effetto dello stile di vita sano, perché questo effetto si manifesta con un non-evento, ovvero con la mancata comparsa di una malattia o - per esempio - di un accidente cardiocerebrovascolare, come un infarto o un ictus. Per gli esperti di sanità pubblica, l'effetto delle misure di prevenzione sulla salute della popolazione è chiaramente visibile e misurabile, ma per l'individuo si tratta in un certo senso di accettare una scommessa, di fare un investimento».

Che cosa si può fare per migliorare la situazione?
«La fascia di età che abbiamo esaminato è particolare: sono ragazzi non ancora nel mondo del lavoro ma non più dipendenti dalla famiglia, e con la capacità di scegliere i propri comportamenti. Da un certo punto di vista, occorre fare di più finché i ragazzi sono più piccoli, quando le famiglie e la scuola hanno più possibilità di trasmettere loro abitudini e stili di vita più sani, con l'educazione e con l'esempio.
In questa fase è più difficile intervenire, ma noi pensiamo che l'Università abbia la responsabilità di informare e formare anche in questo ambito tutti questi giovani che quotidianamente affollano le aule. I risultati dell'indagine dimostrano che, pur con tutte le criticità evidenziate, gli studenti italiani rappresentano un buon ordito, su cui continuare a tessere la trama. Per questo promuovere la salute e prevenire le malattie nella popolazione giovanile è una scommessa per il presente e un investimento per il futuro.

L'obiettivo è quello di incrementare la conoscenza e la consapevolezza dei comportamenti alimentari corretti, delle conseguenze dell'uso di fumo di tabacco, alcol e droghe, della necessità di preservare la propria fertilità, dei rischi derivanti dall'uso inappropriato di dispositivi tecnologici, e promuovere un nuovo modello organizzativo.
Basterebbero pochi interventi per migliorare la situazione: dall'offerta di porzioni di frutta e verdura al posto di calorici snack nei distributori automatici, all'incremento della disponibilità di strutture sportive nei campus universitari, all'organizzazione di corsi che educhino all'uso consapevole delle nuove tecnologie, evitandone gli abusi, a sportelli di informazione e counselling dentro gli atenei».

Fabio Turone



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