Spaventa ma è sicura

20 giugno 2008
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Spaventa ma è sicura



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Senza anestesia, non sarebbe possibile intervenire chirurgicamente nella vastissima gamma di casi che oggi conosciamo. L'anestesista, quindi, è protagonista dell'atto chirurgico quasi alla pari del chirurgo stesso.

Un'evoluzione molto positiva


Oggi l'anestesia è una pratica molto sicura, grazie al miglioramento sia degli anestetici stessi sia delle apparecchiature che consentono di controllare le condizioni del paziente e supportarne le funzioni vitali. I
dati comunicati dall'American Society of Anaesthesiologists sono piuttosto chiari. Nel 1950, le morti intraoperatorie riconducibili all'anestesia erano 17,9 ogni 10.000 interventi eseguiti, già 25 anni dopo erano scese a 2,2 e nel 1989 a 0,04 sempre ogni 10.000 interventi, vale a dire un caso di morte ogni 250.000 interventi. Uno studio del 2000, condotto in Giappone, parla invece di un caso su un milione di anestesie. Insomma, un rischio davvero molto basso. Certamente questa è una casistica generale, dove sono compresi interventi minori come operazioni di alta chirurgia (per esempio i trapianti). Una più recente ricerca statunitense ha preso in esame solo i teaching hospital, cioè l'equivalente dei policlinici universitari, dove si eseguono prevalentemente interventi più impegnativi. In questo caso la mortalità, per arresto cardiaco, è risultata di 0,55 casi ogni 10.000 interventi. Il dato sembra meno incoraggiante ma si devono considerare, appunto, le condizioni di partenza. Un aspetto piuttosto temuto dal pubblico, e spesso non determinabile a priori, è la reazione allergica all'anestetico. Però anche questi non sono casi frequenti: secondo le casistiche si va da un caso su 4.000 a uno su 23.000 e solo il 3 per cento di queste reazioni allergiche ha conseguenze gravi.

Tutto dipende dalla salute del paziente


In sé quindi l'anestesia è sicura e probabilmente i timori di molti sono fuori luogo. Al contrario, invece, è bene non sottovalutare le anestesie locali di diverso tipo. E' vero che questa tecnica presenta minori incognite e una gestione più semplice, ma si tratta comunque di una pratica che richiede competenza e non va esente da rischi per quanto limitati. Per questo anche per gli interventi in day hospital o ambulatoriali, si tratti di chirurgia estetica, di angiologia o di interventi odontoiatrici di un certo impegno, è bene che sia presente un anestesista rianimatore.
E' poi fondamentale il quadro generale del paziente, che spetta all'anestesista valutare nella fase preoperatoria. Alcune malattie croniche richiedono attenzioni particolari. Per esempio, nei cardiopatici l'uso dell'adrenalina è controindicato, eppure questo è il farmaco d'elezione in caso di allergia all'anestetico. Si può ovviare a questo ostacolo ma è necessario che l'anestesista ne sia al corrente.
Un'altra conseguenza delle malattie croniche è l'assunzione continua di farmaci e molti di questi possono interagire con l'anestetico o comunque richiedere particolari attenzioni.

L'elenco è lungo e comprende:
  • Aspirina e antinfiammatori
  • Anticoagulanti
  • Antipertensivi
  • Antidepressivi
  • Ipoglicemizzanti
  • Antibiotici
  • Antiasmatici
Qualche problema lo possono causare anche alcol, fumo di tabacco, supplementi dietetici, erbe medicinali e altro. La regola è che si deve riferire all'anestesista tutto quello che si sta assumendo a scopo curativo, per quanto innocuo possa sembrare.
A dispetto di quanto si possa credere, l'età non aumenta di per sé i rischi dell'anestesia generale o della chirurgia. E' vero però che invecchiando tutte le funzioni, cardiovascolare, polmonare, epatica e renale. Questo significa, per esempio, che la scelta e il dosaggio del farmaco vanno adeguate, perché la metabolizzazione nell'anziano è diminuita. Però sono tutti fattori determinabili a priori, con indagini diagnostiche anche di routine e per i quali ci sono soluzioni adeguate.

Un controllo continuo

Nel corso dell'intervento, l'anestesista tiene sotto controllo diversi parametri ma i più importanti sono quelli legati alla respirazione. Di fatto nella maggior parte dei casi il pericolo può venire da un'insufficiente ossigenazione dei tessuti. Di conseguenza, le apparecchiature oggi impiegate sono (e devono) essere in grado di stabilire la quantità di ossigeno erogata al paziente assieme al gas anestetico. Ma non solo, devono anche poter controllare qual è la saturazione di ossigeno dell'emoglobina presente nei globuli rossi e, quindi, quanto dell'ossigeno erogato va effettivamente a raggiungere i tessuti. La possibilità di controllare in continuo l'ossigenazione del sangue è divenuta semplice e non invasiva grazie all'introduzione della pulsiossimetria. Il sistema funziona sfruttando il differente assorbimento della luce infrarossa da parte del sangue in funzione della quantità di ossigeno presente. In pratica si applica su un dito del paziente una sorta di "ditale" collegato a un analizzatore. Introdotta all'inizio degli anni ottanta questa metodica ha davvero moltiplicato la sicurezza dell'anestesia generale. Infine, con l'ausilio di una metodica chiamata capnografia, si valuta anche la quantità di anidride carbonica espirata, che è l'altro parametro fondamentale della respirazione.
Gli altri controlli riguardano come è intuibile la funzionalità cardiaca: l'elettrocardiogramma funziona in continuo, mentre la pressione arteriosa veniva un tempo misurata ogni cinque minuti. Infine viene controllata la temperatura corporea, ovviamente non con un termometro sotto l'ascella, visto che la temperatura superficiale è poco importante, ma con apparecchi che la rilevano all'altezza del basso esofago, così da avere una buona indicazione della temperatura interna.
A questo ovviamente si unisce l'esperienza dell'anestesista, la sua capacità di valutare segni come il colore della cute e il tono muscolare. E il tutto fa sì che ben difficilmente qualcosa sfugga al controllo.

Maurizio Imperiali



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