Aiutare a morire...

12 febbraio 2003
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Aiutare a morire...



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L'eutanasia, il diritto a una morte dignitosa è sempre più spesso presente non soltanto nella discussione tra "bioetici" e addetti ai lavori, ma anche nella narrativa, sia essa cinematografica o letteraria. Tanto per non rifarsi al solito ER, basta pensare al recente "Il collezionista di ossa" che, sia in versione cinematografica sia nel romanzo che l'ha preceduta, ruota attorno alla decisione del protagonista di porre fine alla sua esistenza minata da una paralisi pressoché completa.
In effetti è un campo in cui non esistono risposte buone per tutti e dove storia, cultura e consuetudine di ciascun paese fanno la (grande) differenza. Un recente articolo del British Medical Journal, per esempio, illustra la singolare situazione della Svizzera. In questo paese l'eutanasia è illegale. Tuttavia non è considerato un reato assistere un suicida, anche attivamente, a togliersi la vita. L'unica discriminante è che chi assiste non lo faccia per motivi egoistici, cioè non lo faccia per trarne un vantaggio. Questa formulazione nella norma comporta che si è puniti se si aiuta il suicida perché retribuiti in qualche modo o perché dalla morte di questi ricaverebbe un vantaggio (magari un'eredità o altro). La legge elvetica risale lontano nel tempo, agli inizi del secolo scorso, quando il suicidio per motivi di salute non sembrava in quel paese una preoccupazione diffusa. Per questo la legge vale indipendentemente dalla motivazione dell'aspirante suicida: possono anche essere motivi d'onore o di altra natura morale o pratica. Certamente, però, deve essere manifesta l'intenzione di uccidersi e si deve trattare di persona in grado di intendere e volere. Ovviamente, come per tutte le morti non naturali, ci sono indagini giudiziarie ma, chiarito che le condizioni esposte sono presenti, non vi sono conseguenze.

Il ruolo del medico non è coinvolto


Un altro aspetto importante è che questa disposizione vale per tutti i cittadini e non soltanto per il medico. Non solo: l'associazione elvetica che raggruppa i camici bianchi ha espressamente detto che assistere i suicidi non rientra tra i compiti del medico, che quindi può farlo ma in quanto cittadino.
Si potrebbe pensare che il problema è risolto così, ma non è vero. Infatti il suicidio assistito riguarda persone che sono ancora consapevoli della loro situazione e in grado di decidere per sé. Non vale per esempio per chi è in stato di coma, o afflitto da sofferenze tali che rendono impossibile una piena coscienza del proprio stato. A rendere il quadro ancora più articolato c'è il risultato di un'indagine condotta tra gli aderenti alla società svizzera di cure palliative (cioè i medici che si sono specializzati nella cura dei malati terminali). Il 90 per cento del campione si è dichiarato contrario alla legalizzazione dell'eutanasia, anche se il 19% si è detto pronto ad applicarla qualora fosse emanata una legge in proposito. Questo orientamento è in contrasto con le posizioni dell'Associazione europea di questi specialisti, che è invece favorevole. Ma anche in questo caso il dato va interpretato: in Svizzera è diffusa la convinzione che le cure palliative non sono ancora disponibili per tutti coloro che ne avrebbero necessità. E questo è fondamentale: manca al malato terminale una possibilità di scelta, perché un conto è affrontare le ultime fasi della malattia senza un'assistenza adeguata, un altro farlo con cure adeguate, per esempio per il controllo del dolore. Non sorprenda questo scrupolo: nella vicina Confederazione Elvetica è posta molta attenzione all'accessibilità alle cure e alle strutture e il sistema sanitario, organizzato su base cantonale, svolge con notevole efficienza il suo ruolo, grazie anche a una popolazione piuttosto contenuta.

L'opinione pubblica è propensa a cambiare


La popolazione, appunto, che cosa ne pensa? Non sono poi molti i dati disponibili, ma da un'indagine campione condotta nel 1999, l'82% degli intervistati ha dichiarato che "chi soffre di una malattia incurabile e causa di sofferenze ha il diritto di chiedere di morire e di essere aiutato a ottenerlo". Tra questi, il 68% ha poi aggiunto che dovrebbe essere il medico a praticare l'eutanasia ma un 37% ha indicato che potrebbe anche essere compito dei famigliari soddisfare questa richiesta e un 22% ha chiamato in causa le associazioni per il diritto alla morte, associazioni di cittadini e pazienti che fanno opera di promozione nei confronti della legalizzazione dell'eutanasia. Ciononostante, un'apposita commissione federale incaricata di studiare questo aspetto (composta da medici, bioetica...) diede parere negativo alla legalizzazione dell'eutanasia, guardandosi bene però dall'intervenire sulle norme relative al suicidio assistito.
C'è fermento, insomma, ma non pare che l'anomalia svizzera cambierà a breve.

Maurizio Imperiali



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