Se l'organo è infetto

02 marzo 2007
Aggiornamenti e focus

Se l'organo è infetto



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Evidenti mancanze, carente organizzazione dei laboratori pisani, palese assenza di consapevolezza della necessità di segnalare rischi di trasmissione di infezioni gravi. Può bastare? Le trentatre righe che riassumono il lavoro della commissione ministeriale, riunitasi in settimana all'ospedale Careggi di Firenze, parlano chiaro. E altrettanto chiaro è stato Alessandro Nanni Costa, responsabile nazionale dell'Organizzazione trapianti, che ha sottolineato, come riporta il Corriere della Sera, "A Pisa è stato commesso un errore grave: appena saputo che i risultati del test erano positivi dovevano telefonare a Firenze". I fatti di cui si parla sono quelli denunciati la settimana scorsa e ripresi con giustificato scalpore dalla stampa nazionale. Fegato e reni provenienti da una donna affetta da HIV impiantati su tre pazienti toscani. E il tutto a causa di un errore umano, ammesso dagli stessi dirigenti del nosocomio toscano. Ironia della sorte proprio in Toscana, uno dei sistemi sanitari più elogiati e presi a modello. E in particolare in materia di trapianti. In Toscana, infatti, come ha ricordato il direttore dell'organizzazione toscana trapianti, Franco Filipponi, per un trapianto di fegato si attende per 4,6 mesi mentre in Italia l'attesa è di due anni e otto mesi. Per il trapianto di reni, invece, in Toscana si aspetta 1 anno e 9 mesi contro i 3 anni e 2 mesi del dato italiano. E ancora nel 2006 il tasso di donatori segnalati dalle rianimazioni è stato di 74,3 per milione di abitanti su una media nazionale di 34,7. I donatori effettivi sono stati poi 42,3 pma contro il 21,7 di media nazionale, mentre il numero dei donatori utilizzati è stato di 37,5 contro il 20,1. Un sistema modello, del quale andare orgogliosi. Eppure. Si è trattato però di un errore umano, "l'unico", ha dichiarato a botta calda Costa, "in quarant'anni di trapianti in Italia". Ma quale è stato l'errore?

L'errore di trascrizione


Un errore di trascrizione da parte di un dirigente biologo del laboratorio di analisi dell'ospedale toscano che ha riportato il risultato fornito dal macchinario utilizzato per l'esame del sangue: da positivo in negativo al virus HIV. Il tutto è stato segnalato quattro giorni dopo i tre trapianti, dai sanitari dell'Archivio biologico di Pisa, dove i campioni dei donatori vengono conservati in attesa di un eventuale utilizzo. E proprio qui risiede un altro nodo importante della vicenda. Possibile che a Pisa sapessero tutto dal 14, giorno della prima analisi generica e l'abbiano comunicato a Firenze solo il 19 e perdipiù via fax? Tutto è possibile naturalmente e non si tratta di fare processi sommari, ma ora c'è il rischio tangibile che i tre pazienti contraggano linfezione da HIV. Ci vorrà almeno un anno per sapere se siano o no stati contagiati dal virus; nel frattempo, al di là degli inevitabili proclami ministeriali sulla qualità del sistema trapianti nazionale, messo in discussione da più fronti, anche internazionali, è il tempo dei provvedimenti. La procura di Firenze ha avviato un'indagine per lesioni colpose ed è stata avviata la procedura di sospensione della biologa "colpevole". Basterà? Difficile dirlo, quello che conta, però, è che non ci sia riduzione nelle donazioni di organi e negli interventi di trapianto. Allora il problema sarebbe ancora più grave.

Marco Malagutti



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