Progetto EoLo: per una morte dignitosa

09 maggio 2003
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Progetto EoLo: per una morte dignitosa



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Il paziente compare nelle statistiche quando è vivo, quando si ammala e quando è morto. Ma come muore? Per occuparsi del tipo di assistenza che il paziente terminale riceve e dei problemi che incontra, è nato il progetto EoLO (End of Life in Ospedale), un progetto di ricerca mirato a riconoscere i modi e le circostanze nelle quali i malati muoiono in ospedale. Ad illustrarlo in una conferenza stampa svoltasi a Milano il responsabile scientifico del progetto, Franco Toscani, direttore dell'Istituto di Ricerca in Medicina Palliativa "Lino Maestroni", ONLUS di Cremona.

Lo studio


Un dato su tutti. Se è vero che l'ospedale è considerato il luogo presso il quale si deve guarire, il 70% delle persone finisce lì i suoi giorni. Diventa fondamentale perciò che, con l'affermarsi delle cure palliative, medici ed infermieri riconoscano l'importanza dovuta alla malattia terminale, anche se i passi avanti in questa direzione sono già stati moltissimi. Lo studio ha riguardato 370 pazienti maggiorenni, tutti deceduti in un periodo di tempo di almeno 1 settimana, ricoverati in 3 ospedali dell'Umbria, 5 della provincia di Firenze e 32 lombardi, tutte strutture con un numero di ricoveri annui superiore a 8000. Per conoscere come i malati muoiono in ospedale sono state consultate le cartelle mediche ed infermieristiche ed è stato intervistato il personale medico ed infermieristico presente al momento del decesso. I risultati sono degni di nota.

L'assistenza non cambia


Due gli aspetti più rilevanti messi in evidenza. La terapia non è condizionata dall'imminenza della morte, con sensibile rischio di accanimento terapeutico, e persistono in modo preoccupante sintomi come il dolore forte senza che siano adeguatamente trattati. La causa di morte della maggioranza dei pazienti è l'insufficienza cardiorespiratoria (70%), mentre una minoranza muore per infezione e per altre cause. Per più della metà dei pazienti la morte era un evento atteso, dato desunto dalla domanda rivolta agli infermieri su quanti sarebbero stati d'accordo se il giorno prima qualcuno avesse detto loro che il paziente sarebbe morto entro 24 ore. Eppure trattamenti come idratazione per via endovenosa, prelievi ematici di routine, esami invasivi non vengono accantonati. Accanimento terapeutico? Va detto che molto spesso i curanti cedono alle richieste pressanti dei famigliari, in molti casi restii a che il malato venga a conoscenza delle proprie condizioni. Ma, secondo Paola Di Giulio, infermiera e co-direttore dell'Istituto cremonese, non basta questo a giustificare ed approvare simili comportamenti. D'altro canto almeno 1/3 dei pazienti la cui morte era attesa sono stati sistemati in camera da soli o in camere multiple a ridotto tasso di occupazione, in modo da garantire la privacy, in ultima analisi offerta da un paravento intorno al letto. La situazione di terminalità, inoltre, non modifica l'assistenza, perciò i pazienti sono cambiati, lavati e posizionati su un materasso antidecubito nella grande maggioranza dei casi.

Dolore trascurato

Il 90% dei pazienti nelle 24 ore precedenti il decesso ha un livello totale di dipendenza, non riesce cioè a mangiare, vestirsi, muoversi, lavarsi e il 52% ha un livello di coscienza compromesso, fino al coma (27%). I sintomi più frequenti sono anoressia e astenia, condizioni che normalmente accompagnano la morte non improvvisa. Il 72% dei pazienti, poi, ha almeno un sintomo grave, il dolore su tutti. Quasi il 43% dei pazienti, infatti, soffre di dolore cosiddetto importante, di grado forte e fortissimo. Eppure solo il 10% dei pazienti ottiene un controllo completo del dolore con farmaci, una percentuale che sale per i pazienti oncologici. Perché una percentuale così bassa? Esistono procedure accettate e di notevole efficacia, in grado di controllare i sintomi. Il dolore, per esempio, può essere abolito mediante sedazione farmacologica profonda del malato. Sintomi come la sofferenza e il distress tra l'altro vengono percepiti anche in condizioni di alterazione dello stato di coscienza. Nonostante queste premesse oltre l'80% degli infermieri intervistati al termine della ricerca giudicano buona o ottima la loro gestione dei malati. Ma, concludono gli autori della ricerca, non è da escludere l'aspetto culturale che ancora sottovaluta la qualità di vita del malato a vantaggio della componente tecnico-scientifica. Come a dire che in una lista di priorità prima viene la correttezza degli interventi eseguiti sul malato poi la sua qualità di vita.

Verso una nuova cultura

Il quadro complessivo emerso dallo studio, comunque, secondo Toscani, è tutto sommato positivo. Alcuni passi però vanno ancora fatti perché la buona cura dei morenti diventi uno degli indicatori tout court dell'assistenza. Perché il percorso sia completo deve essere annoverata una efficace gestione dei sintomi e la cura di elementi tradizionalmente considerati secondari come privacy e comfort. E soprattutto va rifiutato qualsiasi tentativo di accanimento medico e diagnostico. Ecco perché verrà costituito un Osservatorio Nazionale sulla morte in ospedale, rivolto a tutti gli operatori sanitari e agli amministratori sensibili al problema, con il dichiarato intento di traghettare la trasformazione in questo settore della sanità italiana. Ma la sanità italiana ha i soldi per dare priorità alle cure terminali?

Marco Malagutti



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