Il ruolo della profilassi

03 aprile 2009
Aggiornamenti e focus

Il ruolo della profilassi



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La scelta di sottoporsi o meno all'indagine genetica con amniocentesi prima del secondo trimestre di gravidanza, pone di fronte a dubbi non soltanto etici ma anche di sicurezza per il nascituro. Nel consenso informato per accedere alla procedura è indicato, secondo i dati forniti dal Center for Disease Control and Prevention, un rischio dello 0,5%, ma esistono altri dati che riportano l'1,3%. E tra le cause di interruzione della gravidanza, oltre ai fattori di rischio legati all'età materna, all'abilità dell'operatore e a precedenti aborti vanno considerate anche le possibili infezioni batteriche della cavità amniotica. Che, secondo alcuni esperti, si possono prevenire con una profilassi antibiotica.

Fonti di rischio


Di norma la cavità che accoglie il feto è un ambiente sterile, per interazione dell'epitelio cervicale, delle membrane placentari e della componente cellulare della placenta, ma è stato dimostrato che i microrganismi possono attraversare le membrane anche quando queste sono fisicamente intatte. Queste evidenze hanno suggerito a un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Diagnosi Prenatale del Centro di Medicina Materno Fetale Artemisia di Roma, che da tempo studia gli esiti clinici delle amniocentesi eseguite (3000 in uno studio pilota di qualche anno fa), che l'alterazione di un equilibrio tra gli annessi fetali possa portare a infezione nella membrana decidua, nel corion e nella cavità amniotica e rendere la gravidanza ad alto rischio di complicanze. Peraltro, la presenza batterica è stata rilevata anche in gravidanze e in donna totalmente asintomatiche durante l'amniocentesi. Secondo alcuni esperti l'esame del fluido amniotico al secondo trimestre, rileva nel 15% dei casi la presenza di Mycoplasma hominis e di Ureaplasma urealyticum. Alla luce di questi dati, l'equipe di Claudio Giorlandino, presidente della S.I.Di.P. (Società Italiana di Diagnosi Prenatale) e ideatore e coordinatore dello studio, ha ipotizzato che la proliferazione batterica dentro la cavità amniotica si potesse prevenire con una profilassi delle membrane con una semplice terapia antibiotica nei giorni precedenti l'amniocentesi.

Macrolidi a protezione


Per verificare la validità di questa strategia, sono state incluse nello studio le donne che tra il 1999 e il 2005 avevano fatto richiesta di amniocentesi presso il centro, arrivando a un campione molto ampio: quasi 35 mila donne. Circa due terzi sono state avviate al trattamento nei tre giorni precedenti l'esame, con azitromicina, macrolide antibiotico scelto perché sicuro in gravidanza, esente da effetti teratogeni e con provata efficacia contro Mycoplasma. Le altre hanno eseguito l'amniocentesi senza assumere farmaci antibiotici. Nelle successive quattro settimane è stato chiesto a tutte le pazienti di segnalare eventuali sintomi più o meno gravi: nel gruppo di intervento sono stati registrati sette casi, con un tasso dello 0,03% nel gruppo controllo 36, con un tasso dello 0,28%. "In genere - precisa Pietro Cignini, coordinatore dello studio - si parla di percentuale di aborto relativa all'amniocentesi cioè la differenza di tale percentuale tra chi non ha eseguito l'amniocentesi e chi invece l'ha eseguita. Ovviamente questa definizione non ha più senso nel nostro lavoro poiché entrambe le popolazioni si sono sottoposte ad amniocentesi. Pertanto lo 0,03% ed il 0,28% sono rispettivamente le percentuali assolute di aborto rispettivamente in chi esegue la profilassi antibiotica e in chi non la esegue che devono oggi essere riportate nelle linee guida".

Simona Zazzetta



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