Rischi da correre

24 maggio 2006
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E' chiaro che fa notizia, ed evoca scenari da fantascienza di serie B, il fatto che volontari sani, coinvolti nella sperimentazione di un farmaco, sia pure il primo passo della sperimentazione sull'uomo, vadano incontro a gravi reazioni avverse. Si parla, naturalmente, dei sei volontari britannici che avevano partecipato alla sperimentazione del TGN1412, farmaco "biotec" destinato al trattamento di malattie come l'artrite reumatoide e una particolare forma di leucemia cronica per la quale non esistono trattamenti adeguati.Ma d'altra parte questo passaggio è inevitabile e, in parte, inevitabili i rischi. Però, ci sono anche fatti nuovi, e nuove tendenze, che possono anche rendere più delicata la situazione. Lo conferma Maurizio Bonati, responsabile del Laboratorio per la Salute materno infantile dell'Istituto Mario Negri di Milano, forte di una lunga esperienza nel settore della sperimentazione, in particolare quella relativa all'uso dei farmaci in età pediatrica.

Personalizzati, anche troppo


Che cosa può essere successo, dunque? " Escludendo che ci siano stati errori materiali nella somministrazione o nella conservazione del farmaco, è possibile che sia stata sottovalutato l'effetto, cioè che il farmaco sia rivelato molto più efficiente nell'uomo, forse troppo, di quanto non fosse nella cavia. D'altra parte, va detto che il passaggio dall'animale all'uomo diventa sempre più difficile e per una ragione tecnica. Oggi si punta a ottenere farmaci sempre più "personalizzati", mirati a meccanismi particolari e specifici. Quindi è chiaro che più è personalizzato il farmaco, più il passaggio dal topo all'uomo può cambiare la situazione". Infatti, il farmaco in questione era un anticorpo monoclonale, cioè una di quelle sostanze create in laboratorio per legarsi specificamente a una proteina, che imitano gli anticorpi prodotti naturalmente dall'uomo ma comunque non esistono in natura. Può ben essere che i linfociti umani, cui doveva legarsi la sostanza in questione fossero più facilmente vulnerabili.

I controlli non sono mai troppi


Peraltro, il dottor Bonati invita alla prudenza: "Questo farmaco aveva già avuto un passaggio all'EMEA, l'agenzia europea del farmaco, e gli era stato riconosciuto lo status di farmaco orfano. Inoltre, la CRO, cioè l'azienda specializzata nella sperimentazione, che conduceva la ricerca è una delle più grandi del settore. Non siamo di fronte certamente a sprovveduti. Può essere una fatalità. D'altra parte, non si dimentichi che valutare l'efficacia, il funzionamento, di una molecola è relativamente rapido, mentre verificare la sua sicurezza, il sorgere di effetti collaterali, richiede tempo e un numero enorme di persone che assumono il farmaco, un numero incompatibile con le dimensioni degli studi clinici". Il sistema, dunque, funziona? "Probabilmente bisognerà rendere ancora più stringenti le regole per il passaggio alla sperimentazione sull'uomo, viste le tendenze attuali della ricerca. Ma c'è anche un altro aspetto: siamo inseriti in un sistema di mercato, dove i singoli ricercatori, una volta scoperta una di queste sostanze, creano una società, poi quando ne hanno due o tre si quotano in borsa. C'è insomma, una spinta commerciale a brevettare sempre nuovi farmaci biologici, e ad affidarne la sperimentazione a compagnie specializzate. Tutto questo ha una sua logica, ma sarebbero necessarie anche valutazioni da parte di organismi, istituti di ricerca, indipendenti. Un passaggio di garanzia". Il discorso sollevato dal dottor Bonati rimanda però alla cronica carenza di fondi per la ricerca pubblica o comunque non profit. Da quest'anno, è possibile destinare il 5 per mille delle proprie imposte dirette proprio alla sovvenzione della ricerca indipendente. "Ovviamente non si tratta soltanto della ricerca farmacologica, ma certamente anche di quella".

Maurizio Imperiali



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