Biotech, vera innovazione?

19 ottobre 2005
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Biotech, vera innovazione?



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Dei 1054 nuovi farmaci allo studio nel mondo, 369 sono farmaci biotecnologici. Tra questi la maggioranza (40%) è diretta alla cura del cancro. L'8,9% è diretto alla cura delle malattie infettive, il 6,4% di quelle neurologiche, il 5,9% delle malattie cardiovascolari, il 5% delle malattie respiratorie e, via di questo passo, con l'Aids e le malattie autoimmuni. Numeri che suggeriscono come oggi spetti alla biotecnologia occuparsi di innovazione ed è per questo che le multinazionali del farmaco, da Roche a Pfizer, provano a raccogliere i frutti di questa ricerca. Frutti rigogliosi se si pensa che Genentech, società americana controllata da Roche, e numero due al mondo delle biotecnologie, ha registrato un aumento degli utili del 56% a 359,4 mln di dollari, rispetto ai 230,9 mln dello stesso periodo dell'anno precedente. Un trend che sembrerebbe in ulteriore crescita. Ma si tratta davvero del futuro della ricerca farmaceutica o è più forte, visto il crescere dei profitti dell'industria, il conflitto d'interesse tra ricercatori e industria? Di questo si sono occupati i ricercatori del Mario Negri, guidati da Silvio Garattini. Sembra, infatti, che la speranza di farmaci sempre migliori e più economici non sia così ben riposta.

Grandi aspettative...


Le aspettative del resto sono alte. Farmaci più selettivi per cominciare, meglio tollerati perché più simili ai prodotti endogeni e più economici per il ricorso alla produzione su larga scala. E invece? Per effettuare le verifiche del caso, i ricercatori hanno preso in esame le medicine biotech approvate dall'EMEA, l'agenzia europea preposta a questa operazione. L'agenzia ha approvato 87 prodotti biotech, che corrispondono a 65 principi attivi, di cui 4 a scopo diagnostico. Ne restano 61 commercializzate con più indicazioni terapeutiche. Veramente innovative? L'indagine si è svolta in questo modo: i 61 principi classificati in base al tipo di beneficio arrecato sono stati comparati a terapie già esistenti o a placebo. Dai dati forniti dal sito EMEA, solo 15 prodotti rappresentano innovazioni terapeutiche cioè farmaci per malattie senza un effettivo trattamento o più efficaci del trattamento esistente o, ancora, attivi in pazienti con resistenze ai farmaci esistenti. Ventidue offrono vantaggi limitati e non terapeutici, riguardanti la sicurezza o la convenienza, 24, infine, sono copie di farmaci esistenti. Per fare degli esempi, la maggior sicurezza riguarda farmaci come i fattori di coagulazione o gli ormoni sessuali, dove le tecniche di DNA ricombinante riducono il rischio di infezione virale rispetto ai "vecchi" metodi estrattivi. I vantaggi farmacocinetici li danno farmaci come il peginterferone alfa, che può essere assunto una volta a settimana contro le abituali tre-cinque volte dei composti "parenti". I vaccini multipli, invece, sono il tipico esempio di convenienza. Passando al setaccio i 15 prodotti realmente innovativi i ricercatori hanno potuto verificare come solo per sette di questi sono stati effettuati studi di dosaggio (mirati cioè a identificare la dose efficace), per 11 è stata testata la sicurezza e l'efficacia in trial randomizzati, sei sono stati messi a confronto con placebo. Ancora, soltanto quattro delle sostanze innovative sono state approvate sulla base della superiorità rispetto a comparatori attivi (cioè farmaci già esistenti). Soltanto 5 dei 15 farmaci hanno avuto i trial di approvazione pubblicati in riviste specializzate. Può bastare? I dati, concludono i ricercatori del Negri, portano alla luce come non sempre l'approvazione di queste sostanze abbia seguito criteri metodologici rigorosi. La carenza di studi di dosaggio e di trial controllati è segno di lacune nella documentazione che supporta l'autorizzazione al marketing, come se gli aspetti commerciali fossero prioritari. In più si ha a che fare con indicazioni terapeutiche spesso piuttosto limitate. L'esistenza di farmaci copia mette in risalto una volta di più, secondo lo studio, la prevalenza di interessi di mercato. Ma anche la promessa di una migliore tollerabilità dei farmaci biotech spesso non viene mantenuta, per esempio il trastuzumab, commercializzato per il trattamento del tumore al seno metastatico, è cardiotossico; ma, come questo, anche altri farmaci non sono così atossici. In più si ha a che fare con farmaci spesso più costosi. Evidentemente, le biotecnologie sono, per ora, rimandate anche se va detto a loro difesa che hanno reso disponibili farmaci che altrimenti non ci sarebbero stati in così grandi quantità e strumenti di ricerca utili per la scoperta di nuovi farmaci. Qualche cosa di buono c'è perciò, ma non si può parlare di promesse già mantenute.

Marco Malagutti



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