Una questione di volontà

09 gennaio 2009
Aggiornamenti e focus

Una questione di volontà



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Basta desiderarlo e si può dimagrire? Secondo molti sì. Del resto i segnali che arrivano al corpo passano attraverso l'autocontrollo e quindi, dicono alcuni esperti, è sufficiente riuscire a gestire questi segnali e mangiare in base a considerazioni puramente mentali e non in funzione degli stimoli. Sarebbe questo il segreto per godersi una cena abbondante e per riuscire a digiunare senza che questo rappresenti un dramma. E' la volontà, perciò, a essere determinante. Ma è veramente così? Ne è convinto Barron Lerner, un medico statunitense che ha affrontato l'argomento sul New York Times.

Teorie in evoluzione


La forza di volontà, spiega il medico, era un concetto molto in voga anni fa. Bisognava essere abbastanza forti da resistere ai dolci ed essere magri di conseguenza, si diceva allora. Un retaggio probabilmente della cultura Cristiana che mette in guardia dal pericolo delle tentazioni e non a caso l'ingordigia è uno dei sette peccati capitali. L'apice della rivolta contro i vizi e le cattive abitudini risale al 19° secolo, quando nacquero i primi gruppi contro l'alcol, il gioco d'azzardo e il fumo. E sentimenti simili si sono manifestati contro l'obesità, in tempi più recenti nell'immediato dopoguerra, quando si iniziò a invocare l'importanza del "self control" per i pazienti obesi ed è a questa filosofia che si ispirano programmi di dimagrimento come il Weight Watchers. In tempi più recenti poi molto medici hanno scoraggiato procedure chirurgiche come la riduzione dell'intestino, non solo per i rischi associati ma anche perché potrebbero diventare trucchi per pazienti pigri che non vogliono essere realmente protagonisti del loro dimagrimento. Ma siamo nel passato. Oggi, spiega Lerner, anche sull'onda di una serie di scoperte scientifiche, la forza di volontà è diventato un concetto obsoleto. Giusto così?

Dall'ambiente alla genetica


Un aspetto sta nel fatto che, secondo gli studi più recenti, a prescindere dalla dieta tentata i chili persi mediamente sono pochi e, invece, è alto il numero dei soggetti che rinunciano alla dieta. Sull'onda di questi risultati le strategie per perdere peso non sono più focalizzate sul singolo paziente, bensì più su un approccio di salute pubblica. Se cioè le cause dell'epidemia obesità sono ambientali, le risposte lo devono essere altrettanto. Che cosa significa? Che è la società che deve favorire i soggetti in soprappeso riducendo la disponibilità di cibi calorici, le pubblicità di cibo spazzatura per i minori e la dipendenza dalle automobili e incentivando piuttosto l'accesso ai cibi sani e all'esercizio fisico. E del resto la moral suasion ha funzionato in altri settori, come per esempio la lotta al fumo. Ma l'ultimo capitolo della lotta all'obesità evoca l'ipotesi genetica. Gli studi più recenti, infatti, parlano di una predisposizione ereditaria all'obesità, per cui l'appetito sarebbe controllato largamente dalla genetica: dalla leptina, l'ormone che regola l'appetito, a come i soggetti giovani producono insulina, sono sempre i geni la chiave. Allora la forza di volontà è del tutto inutile? Non è così, conclude l'autore dell'articolo, intanto perché gli effetti benefici di una dieta vanno al di là della mera perdita di peso e in più perché "non posso pensare" conclude Lerner " di rinunciare a quella parte del lavoro del medico che incoraggia i pazienti a provarci sempre di più" Un medico old fashion?

Marco Malagutti



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