Quando il lavoro fa ammalare

14 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Quando il lavoro fa ammalare



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Dalle costruzione delle piramidi alla civiltà industriale, nessuno saprà mai il prezzo pagato dall'umanità in vite e malattie non per le guerre ma per un ambito pacifico come il lavoro. Oggi in Occidente si muore e ci si ammala di meno per il lavoro, e di meno che nei paesi in via di sviluppo dove si corrono rischi come in passato in quelli ricchi, ma comunque si muore ancora troppo e ci si ammala di nuovi disturbi fisici e psicologici che si ripercuotono non poco sulla salute e sulla qualità della vita. Lo testimonia il congresso mondiale sul tema promosso da ICOH (International Commission on Occupational Health), ISPESL (Istituto Superiore Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro) e Società Italiana di Medicina del Lavoro a Milano, dall'11 al 16 giugno di quest'anno. Luogo e periodo non sono casuali: esattamente cent'anni prima si svolse nel capoluogo lombardo il 1° congresso mondiale di medicina del lavoro e nacque la ICOH, sempre lì quattro anni prima venne fondata la prima Clinica del lavoro al mondo, tutto questo per un progressivo aumento di sensibilità cui contribuì la morte nello stesso 1906 di 106 operai per la costruzione del traforo del Sempione.

Malattie respiratorie, mal di schiena, allergie


Una stima del problema sicurezza sul lavoro oggi nel mondo l'ha elaborata l'Organizzazione mondiale della sanità con una ricerca realizzata nel 2000 in 191 stati, pubblicata l'anno scorso sull'American journal of Industrial Medicine e ricordata al meeting di Milano, dalla quale risulterebbero 850.000 morti all'anno, il 37% delle quali per malattie polmonari croniche e altrettante per infortuni, e il 12% per tumori alle vie respiratorie; inoltre, il lavoro è in causa per via di tagli e ferite nel 40% di epatiti B e C, nel 37% dei mal di schiena, nel 16% delle perdite di udito, nel 13% delle malattie polmonari ostruttive croniche e nell'11% dei casi di asma. I risultati dell'indagine erano comunque sottostimati, in quanto non si considerava altre malattie, come quelle coronariche, e non riguardava paesi in via di sviluppo, lavoro minorile e aziende familiari. Patologie occupazionali in crescendo in tutt'Europa e quindi anche in Italia: ci sono le malattie muscolo-scheletriche, come il mal di schiena da prolungata sedentarietà tra i numerosi autotrasportatori, o da sollevamento e spostamento di pesi tra operai edili e magazzinieri ma anche tra gli infermieri in ospedali e case di riposo, e poi le ipoacusie da lavorazioni o ambienti rumorosi, e soprattutto le allergie. Il capitolo delle allergie è molto variegato, si va da quelle tradizionali come l'asma da farina di frumento, che è un problema europeo e colpisce il 5-10% dei panificatori soprattutto artigianali, ad altre più recenti: per esempio al nichel, metallo presente in molti oggetti e ormai ubiquitario nell'ambiente, al quale sarebbero allergici sei milioni di italiani con una positività ai test epicutanei aumentata, come risulta da una ricerca della Clinica del Lavoro di Milano, dal 24% degli anni '80 al 33% dei '90; oppure al lattice, con una prevalenza risultata del 2,7% negli ospedali di Milano, come in Europa, che ora si previene usando i guanti senza o con poca polvere lubrificante che rende inalabile il lattice. Le allergie sono in crescita ovunque si affermi uno stile di vita occidentale, basti vedere i due casi piuttosto recenti del Giappone e della ex Germania orientale, compreso quindi il mondo del lavoro e in particolare quello d'ufficio, come ha confermato il Progetto europeo HOPE (Health Optimization Protocol for Energy-efficient Buildings).

Mal d'ufficio e soprattutto mobbing


I risultati di HOPE, indagine condotta il nove paesi dal 1999 al 2004, illustrati a Milano, indicano che nel 30% dei 51 edifici esaminati non c'erano condizioni di comfort adeguate per i lavoratori, un terzo dei quali lamentava stanchezza, un quarto secchezza agli occhi o alla gola, un quinto mal di testa. Disturbi riferiti anche nel capitolo italiano di HOPE, realizzato dall'Università degli Studi di Milano, con il 30% circa sia di cefalee sia di secchezza oculare e il 43% di sonnolenza; si è rilevata la presenza di sostanze irritanti come l'ozono da stampanti laser, di composti organici volatili da prodotti per le pulizie, di polveri, ossidi d'azoto, monossido di carbonio dovuti in realtà al traffico esterno, mentre il comfort rispetto a illuminazione e temperatura indoor è apparso soddisfacente. Ma una problematica davvero emergente è quella di tipo psicologico, dovuta al mobbing, insieme di "molestie" sul lavoro, all'eccesso di stress, anche al burnout, una sorta di esaurimento. Un fenomeno come il mobbing sembra interessare oggi in Europa fino al 14% dei lavoratori, un po'in tutti i settori, e soprattutto la pubblica amministrazione, con il 14%, l'istruzione e la sanità, con il 12%, seguiti da ristorazione, comunicazione, commercio e altri. Certo, umiliazioni, vessazioni e minacce sul lavoro non sono una novità, ma oggi il fenomeno è favorito da ristrutturazioni aziendali, cambi ai vertici, precarietà per i giovani, ritmi inadatti per gli ultracinquantenni: al Centro per il Disadattamento lavorativo della Clinica del lavoro di Milano si è passati per esempio dai 194 pazienti del 1997 ai 674 del 2005; i contraccolpi sono turbe del sonno, ansia, depressione, spossatezza, mal di stomaco, emicranie, attacchi di panico, e magari abuso di alcol o di sostanze. Ma alla fine di tutto il discorso va sempre ricordato, non sembri provocatorio, che la disoccupazione può avere un impatto psico-fisica anche peggiore delle malattie occupazionali.

Elettra Vecchia



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