Salute da precari

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Salute da precari



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L'ultima incarnazione dell'evoluzione del mondo del lavoro, la flessibilità, a essere buoni, o precarizzazione, a chiamare le cose col loro nome, non sfugge alla regola secondo la quale si hanno ricadute, il più delle volte negative, sulla salute. Non lo proclama un manifesto "no global" ma un documentato editoriale di JAMA, la rivista dell'American Medical Association. Gli autori hanno esaminato i cambiamenti dell'ultimo quindicennio, rilevando come sia notevolmente aumentato il numero di coloro che non hanno un rapporto di lavoro stabile: lavoratori interinali, autonomi, stagionali giornaliero eccetera,sono cresciuti a un ritmo 10 volte superiore a quello della crescita complessiva della popolazione impiegata. Nel 2005, dati ufficiali alla mano, rappresentavano un terzo della forza lavoro, pari a 43 milioni di persone. Si tratta in massima parte di giovani, bianchi, dai 25 anni di età in su, ma la quota di ispanici e di altre minoranze, nonché di donne, è superiore a quella registrata tra chi ha un lavoro fisso. Ovviamente, il reddito di questi lavoratori è significativamente più basso: il 16% ha un reddito famigliare inferiore a 20000 dollari l'anno, mentre è l'8% tra i lavoratori a tempo indeterminato. Infine, il dato più importante: tra i precari solo il 13% ha una copertura sanitaria a carico del datore di lavoro, mentre la percentuale tra gli assunti è del 72%.

Non rischia soltanto il manovale


Ma lo stato di salute? Il primo dato, si legge, è la maggiore frequenza degli incidenti sul lavoro, mortali e no. In Europa, dove gli studi sono parecchi, ma anche negli Stati Uniti, per i precari il rischio di incidenti è grosso modo doppio. Non vale la solita consolazione che si tratta di quei lavori emarginanti che nessuno vuole fare e che, si spera, prima o poi spariranno. Infatti, tra i lavoratori giornalieri più svantaggiati (agricoltura, edilizia...) il numero di coloro che ha avuto almeno un incidente sul lavoro nell'ultimo anno tocca il 19%, contro il 5% degli assunti, ma non va meglio tra le infermiere, come prova uno studio condotto tra quelle che assistono i malati di AIDS. All'interno di uno stesso reparto, le infermiere precarie hanno il 65% di probabilità in più di pungersi con aghi infetti. Ma non ci sono soltanto gli incidenti. Secondo uno studio condotto su un campione di 15000 lavoratori europei, condotto dalla Federazione dei sindacati del vecchio continente, aumentano tra i lavoratori flessibili condizioni come le patologie del rachide (schiena), dolori muscolari e altro. E poi c'è il dato principe: la mortalità per tutte le cause; secondo una ricerca finlandese, questa è dal 20 al 60% più frequente tra i lavoratori precari e a riprova è stato anche osservato che chi durante il periodo di osservazione passava da precario a stabilizzato vedeva ridursi il rischio di morte per tutte le cause.

Molti meccanismi differenti


Le ragioni di questo svantaggio sono, ovviamente, molteplici: è possibile che ai precari o alla manodopera in affitto si affidino con maggiore frequenza mansioni pericolose o condotte in situazioni che lo sono; è anche possibile che siano meno preparati (è arduo che si faccia formazione a chi se ne andrà a breve). Sicuramente, però, c'è anche il fatto che meno facilmente accedono ai servizi di medicina del lavoro o ai programmi di screening e prevenzione. Se si somma questo aspetto a quello della mancanza di polizze sanitarie, il quadro è piuttosto fosco.
Ma il commento si chiude con una osservazione nuova e interessante. C'è un'epidemia di obesità e diabete, con tutto quello che comporta per la salute della popolazione e, secondo gli autori, questo aumento dei lavori mal pagati, con ritmi bizzarri e dirompenti non incoraggiano né una sana alimentazione né la pratica dell'attività fisica. In Europa, e in Italia in particolare, ci si può consolare con il fatto che esiste un servizio sanitario universalistico, che è effettivamente un bene da difendere. Ma difenderlo è anche non considerare sempre buona qualsiasi riduzione della spesa pubblica, che finanzia le cure per tutti. E non considerare sempre buona una modalità di lavoro che aumenta il rischio e riduce le disponibilità economiche. Non tutti i lavoratori flessibili fanno il consulente finanziario da 2000 euro l'ora.

Maurizio Imperiali



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