Esami di dubbia utilità

23 giugno 2006
Aggiornamenti e focus

Esami di dubbia utilità



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Spesa di qui, spesa di là. troppi farmaci, troppi ricoveri. E anche troppi esami di laboratorio. Il punto, però, non è che le prescrizioni siano tante o poche, ma che siano utili. Nel caso dei test di laboratorio, uno studio britannico dimostrerebbe che c'è una discreta percentuale di casi in cui i test sono prescritti in modo inappropriato, cioè sono inutili. Quel che è peggio, è che un test inutile spesso porta a ulteriori spese: se c'è un falso positivo, per esempio, si richiedono altri esami per accertare come stanno le cose realmente, oppure si procede direttamente a una terapia non necessaria. Detto questo, servono i ticket? Forse, ma sicuramente, come mostra lo stesso studio, esistono altri mezzi, rivolti al medico e che non sono punitivi o sanzionatori, che permettono di ridurre gli esami inutili.

370 medici e un laboratorio


I ricercatori sono partiti dalla constatazione che le richieste di esami da parte dei medici di base britannici sono aumentate, dal 2000 al 2004,dell'83%. Molto, anche considerano l'effetto delle linee guida, dei nuovi test disponibili e della maggiore attenzione ad alcune malattie. Insomma, qualcosa di troppo c'è. A questo punto si è passati a valutare l'effetto sulle prescrizioni che potevano avere due misure differenti ma simili. Una era la spedizione, a intervalli di tre mesi, di una relazione da parte del laboratorio, in cui si mostrava quanti esami aveva richiesto lo studio in cui opera ciascun medico (si tenga presente che in Gran Bretagna il medico di famiglia raramente lavora da solo); l'altro era l'invio, assieme ai risultati del test, di un breve memorandum sui casi in cui quel test non va impiegato perché poco significativo. Per esempio, nel caso del dosaggio dell'ormone follicolo stimolante (FSH), il memorandum ricordava che è inutile prescriverlo per controllare se una donna è o meno in menopausa una volta che questa abbia superato i 40 anni. Nel caso del dosaggio degli anticorpi per l'H. pylori (il batterio che causa l'ulcera) si faceva presente che è inutile prescriverlo per controllare se la terapia è riuscita, perché gli anticorpi rimangono elevati per alcuni mesi, anche se il batterio è stato eradicato. Analogo discorso per due marker tumorali, che sono di scarsa utilità se si tratta di confermare la diagnosi. In totale i ricercatori hanno selezionato 9 test a rischio di uso improprio, basandosi sul consenso degli esperti, e per un anno, per questi esami, hanno inviato o il bilancio delle richieste, o i memorandum sull'appropriatezza o tutti e due. A un gruppo di medici, però, non è stata inviata nessuna forma di feedback. Protagonisti dello studio, i 370 medici operanti in 85 studi associati che facevano capo all'equivalente britannico di una ASL (nella Scozia settentrionale); la scelta è stata motivata dal fatto che tutti gli ambulatori si servivano di un unico laboratorio di analisi, rendendo più semplice l'inoltro delle comunicazioni.

Una diminuzione significativa


L'effetto cercato era l'eventuale riduzione nelle richieste degli esami oggetto degli interventi nell'arco dei 12 mesi in cui è durato il "bombardamento" dei medici di famiglia. Effettivamente, una riduzione c'è stata, magari non significativa per tutti gli esami compresi nella lista, ma nel complesso sì. Ciascuno dei due tipi di sollecitazione otteneva un calo del 10% del volume complessivo e, siccome, i due sistemi non mostravano interazioni, gli effetti andavano a sommarsi, ragion per cui secondo i ricercatori è lecito attendersi che applicati assieme possano ridurre del 20% le richieste. Un aspetto da notare è che il risultato non cambiava a seconda del numero di esami che gli ambulatori richiedevano prima dell'inizio dello studio, come dire che, pochi o tanti, una quota cui si poteva rinunciare c'era.

Maurizio Imperiali



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