La libertà ha un costo

26 gennaio 2007
Aggiornamenti e focus

La libertà ha un costo



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Di carcere e detenzione si parla o per tristi motivi di cronaca o, quando va molto bene, come spazi di recupero di situazioni sociali critiche sfociate nella criminalità. Di tutte queste persone e delle loro storie, tuttavia si perdono le tracce, almeno apparentemente, nella fase successiva alla fine del periodo di reclusione. A meno che non diventino protagonisti di altri crimini per tornare di nuovo nell’ambito della cronaca

Lo stress del reintegro
Un monitoraggio del dopo non è rimasto del tutto indifferente a molti gruppi di lavoro che hanno orientato le proprie ricerche verso queste realtà, utilizzando registri nazionali, per scoprire che, purtroppo, si tratta di un momento critico nella vita di queste persone. E più che la salute, è il caso di dirlo ne va proprio della loro vita. Infatti sono numerosi i risultati che riportano un aumento della mortalità o comunque un tasso di mortalità decisamente superiore al resto della popolazione. E’ evidente che il rilascio di detenuti li porta a vivere condizioni di stress causati dalla ricerca di un’abitazione e di un lavoro e il reintegro nella famiglia e più in generale, nella comunità.
Che gli ex-detenuti siano esposti maggiormente a rischi fatali lo dimostra anche uno di questi lavori recentemente comparso sulla rivista The New England Journal of Medicine con dati limitati allo Stato di Washington.

Una popolazione a vita breve
Tra il 1999 e il 2003 sono state rilasciate circa 30 mila persone dal Department of Corrections dello Stato di Washington, il National Death Index, ha invece fornito i dati sulla mortalità. Nel confronto con la popolazione generale il tasso di mortalità era effettivamente diverso: nei due anni successivi al rilascio, se nella popolazione residente nello stato c’erano stati 223 decessi ogni 100 mila persone l’anno, tra gli ex-detenuti il numero saliva a 777, cioè più che triplicato. Il che si traduce in un rischio relativo 3,5 volte più alto. Limitando l’analisi alle prime due settimane dall’uscita di prigione, la tendenza subiva un’impennata arrivando a 2589 decessi, cioè un rischio relativo 12,7 volte più alto rispetto agli altri residenti, e a 3661 solo nella prima settimana. Il rischio, per altro, sembrava interessare maggiormente le donne rispetto agli uomini. Prendendo in considerazione le differenze socioeconomiche poteva esserci il sospetto che potessero spiegare il divario tra ex-detenuti e popolazione residente. In effetti il livello di educazione all’interno delle carceri era decisamente inferiore, ma già dopo otto settimane diventava improbabile che questa potesse essere la spiegazione.

Il rischio è fuori
Analizzando le cause di morte, le più comuni e quindi identificate come fattori di rischio, erano l’overdose di droghe, le malattie cardiovascolari, l’omicidio e il suicidio. Il periodo di astinenza può aver determinato una minore tolleranza fisiologica alle droghe, causa di overdose. Il rischio di cadere vittima di omicidio vedeva spesso il coinvolgimento di armi da fuoco mentre quello di morire per cause cardiovascolari o per un tumore al polmone, si poteva mettere in relazione all’alta prevalenza di tabagismo nelle carceri. Inoltre le difficoltà del reintegro potrebbero aver generato malattia mentale e stress psicologico che più spesso sfociano nel suicidio, anche perchè una persona mentalmente malata potrebbe aver incontrato difficoltà nell’ottenere cure nel momento in cui quelle fornite dal carcere si esaurivano. Si tratta, quindi, di circostanze decisamente meno probabili nell’ambito carcerario su cui c’è un maggior controllo rispetto a quanto poi accade al di fuori delle mura. La definizione della finestra di maggior sensibilità e rischio potrebbe essere uno strumento utile per focalizzare gli sforzi di prevenzione, migliorare la transizione verso una normalità e orientare le politiche per un miglioramento degli esiti.

Simona Zazzetta

Fonti
  • Binswanger IA et al. Release from prison--a high risk of death for former inmates. N Engl J Med. 2007 Jan 11;356(2):157-65



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