Opuscoli col naso lungo

10 marzo 2006
Aggiornamenti e focus

Opuscoli col naso lungo



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L'industria farmaceutica negli Stati Uniti ha speso per il marketing farmaceutico, senza contare i campioni omaggio dei farmaci, ben 11 miliardi di dollari e, di questi, oltre 7 milioni vanno in pubblicità diretta al medico. Il dilemma etico salta agli occhi vista l'influenza che può avere sul comportamento prescrittivo del medico. E il paziente, va detto, non sempre ne beneficia. In più, comportamenti prescrittivi sbagliati contribuiscono ad aumentare la spesa sanitaria. C'è ne abbastanza per aver indotto un gruppo di ricerca statunitense a occuparsi della questione, con esiti non proprio lusinghieri per l'industria farmaceutica. Le brochure che fanno riferimento a studi spesso riportano dati inesatti, diversi dagli originali.

L'esempio antipertensivo


Lo studio statunitense fa subito un esempio pratico per evidenziare la questione. Diuretici e beta-bloccanti sono considerati la prima linea terapeutica per l'ipertensione, e si tratta di medicinali relativamente poco costosi e disponibili in forma generica. Si dovrebbe trattare, perciò, dei farmaci più prescritti. Ma non è così. Una massiccia campagna per promuovere l'uso dei bloccanti dei canali del calcio ha determinato, negli anni '90, una grande crescita sul mercato di questa classe di antipertensivi. Dal 4,6% del 1986 al 26,9% del 1996 e in contemporanea la pubblicità per le altre due categorie di farmaci è progressivamente scemata. I bloccanti dei canali del calcio, così, sono diventati le molecole più prescritte e questo nonostante, dicono i ricercatori, possano aumentare il rischio di eventi coronarici. In più il loro utilizzo ha fatto lievitare anche la spesa farmaceutica. E tutto in gran parte per effetto della pubblicità diretta al medico, quella per intendersi effettuata dagli informatori col supporto di brochure, campioni di farmaci e spesso anche di regali. Sono gli stessi medici, del resto, a indicare gli informatori come la fonte primaria di informazione. Ma le ricadute etiche di questa forma di promozione, sia sul paziente sia sulle spese, sono evidenti. Nessuno studio, però, ad oggi aveva monitorato l'accuratezza dei dati presentati nelle brochure promozionali. Se ne è occupato perciò il team statunitense e, dalle loro conclusioni, è meglio non fidarsi ciecamente degli opuscoli delle industrie. Ma come si è svolta l'indagine?

L'indagine


I ricercatori hanno chiesto ai medici di cinque cliniche di conservare le brochure promozionali che ricevevano dalle case farmaceutiche e di inviarle successivamente a una "centrale operativa". Tra l'ottobre e il dicembre 2004, sono stati raccolti 20 opuscoli relativi ad altrettanti farmaci e i ricercatori sono risaliti agli studi scientifici di riferimento. A questo punto due revisori (ignari uno dell'altro) hanno effettuato la review dello studio, comparando i dati effettivi con quelli dell'opuscolo promozionale. Ebbene il 75% degli articoli revisionati sono stati considerati validi e l'80% erano sponsorizzati dall'industria farmaceutica. In più il 60% degli studi erano riferiti agli esiti sul paziente e il rimanente 40% al confronto con un altro farmaco. Ma il dato eclatante riguarda il fatto che tre brochure su 20 contenevano dati differenti rispetto a quelli riportati nei trial originali. I limiti dello studio non vanno trascurati: dalla presenza di solo due revisori alle dimensioni ridotte. E poi, va sottolineato, ci si augura che l'appeal di un farmaco per il medico non sia determinato solo dalla brochure. Ma un punto, nell'attesa di studi più articolati, rimane fermo. E' meglio che i medici vadano sempre alla fonte.

Marco Malagutti



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