L'ora giusta per l'arresto

29 febbraio 2008
Aggiornamenti e focus

L'ora giusta per l'arresto



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Chiunque abbia avuto che fare con un ospedale sa bene che tra le ore del giorno e della sera e quelle notturne si vedono a occhio nudo parecchie differenze organizzative e così anche confrontando i giorni feriali e la fine settimana. Ci sono meno medici, e meno medici con funzioni di coordinamento, c'è meno personale infermieristico, e spesso, almeno in Italia, può capitare che nemmeno si tratti di personale dipendente del servizio sanitario, in quanto si procede ad appaltare all'esterno l'assistenza in queste ore. Se questo abbia conseguenze sulla salute dei pazienti, e non si parla dell'eventuale minore comfort ma proprio della sopravvivenza. Tra gli incidenti intraospedalieri che potrebbero risentire di queste differenze ci sono gli arresti cardiaci, che negli Stati Uniti, nel 2005-2006, avevano totalizzato 21000 casi solo nel 10% degli ospedali censiti da un'indagine dell'American Heart Association. Sulla scorta di questo dato è stata condotta una ricerca per valutare l'esito degli arresti cardiaci in funzione del momento del giorno, e del giorno della settimana in cui si verificavano. Nel campione sono confluiti poco meno di 58600 casi, verificatisi da gennaio 2000 a febbraio 2007 in 507 ospedali partecipanti al Registro nazionale della resuscitazione cardiopolmonare (cioè la rianimazione).

Il pronto soccorso fa eccezione


Scopo era stabilire non soltanto l'eventuale frequenza degli arresti nei diversi momenti ma anche come andava a finire per il paziente, valutando non soltanto la sopravvivenza fino alla dimissione, ma anche il ritorno alla circolazione spontanea per un periodo superiore a 20 minuti, la sopravvivenza nelle prime 24 ore dopo l'evento ed eventuali conseguenze neurologiche. Le variabili considerate per l'analisi statistica erano il ritmo cardiaco riscontrato inizialmente, il posto dove si era verificato l'incidente (un'unità cardiologica piuttosto che un reparto di medicina), se il paziente era collegato ai monitor, se era presente qualcuno, il tempo trascorso fino alla defibrillazione, l'etnia e la malattia del paziente. Di questi soltanto il luogo, la presenza dei monitor e il tipo di malattia avevano una significatività statistica. Quanto alla frequenza, nel periodo considerato si sono verificati 58 593 casi nelle ore diurne e serali (43 483 feriali and 15 110 nella fine settimana), mentre 28 155 sono accaduti di notte (20 365 on nei giorni feriali e 7790 nella fine settimana). La sopravvivenza alla dimissione era nettamente superiore negli incidenti avvenuti di giorno o di sera rispetto alla notte: 19,8% rispetto al 14,7%. Lo stesso rapporto si riproponeva per gli altri elementi valutati: ritorno alla circolazione spontanea per più di 20 minuti (rispettivamente 51,1% e 44,7%), sopravvivenza 24 ore (rispettivamente 35,4% e 28,9%) ed esito neurologico favorevole (rispettivamente 15,2% e 11%). Mentre nei casi diurni c'era una buona differenza di esito tra feriali e prefestivi o festivi, quando si trattava della notte non vi erano differenze in questo senso. Dunque, avere un arresto cardiaco in questi momenti peggiora effettivamente le prospettive, e la situazione viene modificata soltanto da pochi fattori, per esempio il tipo di reparto. Infatti, nei centri per grandi traumi e al pronto soccorso questa differenza non si nota, ma anche perché in questi reparti lo staff, per numero e composizione, non cambia molto tra giorno e notte, o tra lunedì e domenica. Un altro piccolo miglioramento si ha se il paziente è in un reparto dotato di monitoraggio, nel senso che vi è comunque una differenza a svantaggio della notte, ma meno forte.

Personale più provato


Le spiegazioni sono molte e intuibili: di notte c'è meno personale e meno esperto, non ci sono parenti in visita che possono dare l'allarme. Poi ci sono elementi soggettivi da considerare: in medici e infermieri è provato che le prestazioni psicofisiche calano nelle ore notturne e questo è inevitabile, come prova l'aumento in questi momenti degli errori medici. Al contrario, non fa differenza che si esamini un piccolo ospedale (per numero di letti) o un grande policlinico. E allora? Allora bisogna studiare modalità per ridurre i fattori che pesano sulla minore capacità di intervento, per esempio addestrando meglio alla resuscitazione cardiopolmonare il personale dei turni notturni. Ma magari considerare che quando si decide di non assumere, e oggi tra pubblico e privato a questo riguardo c'è ben poca differenza, riducendo gli staff al minimo, si corrono dei rischi. Anzi, li corre il paziente.

Maurizio Imperiali



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