Il gene che rende sensibili

27 ottobre 2006
Aggiornamenti e focus

Il gene che rende sensibili



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Cercando in quel vero e proprio scrigno che è il codice genetico continuano a emergere cose inattese, almeno per i non addetti ai lavori. Spesso si scoprono mutazioni nei geni che sono sfavorevoli perché si associano per esempio a rischi di malattia, ma a volte se ne individuano altre con effetti che risultano benefici: come una variante genica che sarebbe presente circa in una persona su quattro e che si lega a una minore sensibilità al dolore acuto e alla minore probabilità di sviluppare quello cronico. Il dolore biologicamente è utile perché costituisce un campanello d'allarme in presenza di stimoli dannosi per l'organismo, ora si scopre però che il livello di percezione non sarebbe uguale per tutti e che questo dipende dal fatto che ci sia o meno una determinata variante genica (ma si ritiene ne sia in gioco più d'una), che sia dunque su basi ereditarie. Una visione del tutto nuova sui meccanismi alla base dell'insorgenza del dolore e che potrebbe dischiudere inediti orizzonti terapeutici, resa possibile dall'individuazione di un elemento chiave di modulazione, il gene GCH1, presente sul cromosoma 7.

Protegge da stimoli stressanti


Il gene codifica per l'enzima GTP cicloidrolasi che serve per produrre la tetraidrobiopterina (BH4), necessaria a sua volta per la sintesi di dopamina e altri neurotrasmettitori: gli autori della scoperta, ricercatori statunitensi che l'hanno pubblicata su Nature Medicine, hanno dapprima osservato che nei ratti con induzione di una lesione nervosa c'era un incremento sia dell'attività del GCH1 sia della BH4, e che iniettando un inibitore della GTP cicloidrolasi la sensibilità al dolore si riduceva, iniettando BH4 al contrario aumentava. Quest'ultima sostanza e il gene hanno così dimostrato, per la prima volta, di essere coinvolti nello sviluppo del dolore.
Il passo successivo è consistito nell'individuazione di una specifica variante di GCH1 risultata protettiva nei confronti del dolore post-chirurgico, trovata cioè in pazienti operati alla colonna vertebrale che nel 28% dei casi circa ne possedevano almeno una copia (in alcuni di essi ce n'erano due): la stessa variante è stata rinvenuta in volontari sani nei quali mostrava di diminuire il dolore acuto provocato da pressione o altri stimoli, più marcatamente in quelli con due copie rispetto a quelli con una o nessuna. Analizzando il sangue dei pazienti operati si è anche osservato che i livelli di GTP cicloidrolasi e di BH4 non erano molto diversi tra chi aveva o non aveva la variante, in condizioni normali, mentre se l'attività di GCH1 veniva incrementata con una sostanza questo avveniva in misura minore nei soggetti che l'avevano. In base a tutto questo e dato che la mutazione è in una zona del gene che ne può controllare l'attivazione, i ricercatori sospettano che la variante meno probabilmente sia accesa in condizioni di stress, come in caso di una lesione nervosa o un'infiammazione.

In prospettiva nuovi farmaci


La prosecuzione di questo studio (i ricercatori sono già al lavoro) consisterà nel chiarire in dettaglio come avvenga e sia regolata l'accensione del gene in seguito a situazioni stressanti, oltre che nell'individuare altre varianti eventualmente coinvolte nei meccanismi del dolore. E in prospettiva le ricadute positive di tipo clinico potrebbero essere interessanti. Si potrebbero per esempio identificare attraverso lo screening genetico i candidati a interventi chirurgici che presentano un maggior rischio di sviluppare dolore post-operatorio cronico, in modo da poter attuare terapie analgesiche più intensive oppure utilizzare metodiche meno invasive. Di ampia portata soprattutto la possibilità di realizzare nuovi farmaci che agiscano contrastando specificamente la GTP cicloidrolasi, analogamente all'inibitore usato nella ricerca, denominato DAHP, che però non esplica un effetto antalgico molto forte e difficilmente è utilizzabile nell'uomo; alcune sostanze di questo tipo sono attualmente allo studio, altre potranno esserlo in futuro anche in seguito all'eventuale scoperta di ulteriori varianti geniche coinvolte.

Elettra Vecchia



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