Un'epidemia moderna

12 febbraio 2003
Aggiornamenti e focus

Un'epidemia moderna



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Un epidemia. Come definire altrimenti un fenomeno in costante crescita come quello dell'obesità? Eppure secondo indagini condotte in diversi paesi basterebbero una serie di accorgimenti nel comportamento come camminare 15 minuti al giorno o mangiare un po' meno ad ogni pasto per prevenire l'aumento di peso in gran parte della popolazione.

Numeri allarmanti


Il 65% della popolazione adulta americana è in sovrappeso, ha cioè un indice di massa corporea che supera i 25 kg/m². I dati sono riferiti al biennio 1999-2000 e sono i risultati del National Health and Nutrition Examination Survey (NHANES). La stessa indagine condotta tra il 1988 e il 1994 parlava di un 56% di sovrappeso. Ma anche la percentuale di obesi ha avuto un'impennata dal 23% al 31%. Un andamento che non risparmia i bambini, tra i quali la percentuale di obesità è cresciuta del 36%. La prospettiva futura non rallegra. Continuando di questo passo la percentuale di obesi nel 2008 sarà del 39%, numeri che non riguardano soltanto gli Stati Uniti: il resto del mondo si approssima molto a questi numeri, Italia compresa visto che negli ultimi 5 anni la crescita degli obesi è stata del 25%. Basti l'esempio della Cina dove, negli ultimi anni, il sovrappeso è raddoppiato fra le donne e triplicato tra gli uomini. Non deve sorprendere perciò che l'Organizzazione Mondiale della Sanità abbia definito il sovrappeso come una delle dieci condizioni a rischio nel mondo e una delle prime cinque nelle nazioni sviluppate. Per non parlare poi delle condizioni associate all'obesità: diabete di tipo 2, la cui incidenza è aumentata del 10% tra i bambini in un decennio, malattie cardiovascolari e alcuni tumori (colon in particolare). Significative anche le spese sanitarie associate alla condizione, in termini sia di spesa vera e propria che di giorni di lavoro persi, e i disturbi psicologici legati all'obesità, come per esempio la depressione.

Ambiente più che biologia


D'accordo le differenze in peso ed altezza sono di natura biologica ma la grande disponibilità, alle nostre latitudini naturalmente, di cibo gustoso, poco costoso e iperenergetico servito in porzioni abbondanti non è altro che un fattore ambientale. Anche il fatto di aver ridotto l'attività fisica ai minimi termini, per l'aumento dei lavori sedentari e la sempre più larga diffusione di tv, internet e videogiochi rientra nei fattori ambientali. La cosa paradossale è che il pensiero ispiratore dei nostri antenati era quello di creare una vita migliore per se stessi e per i loro discendenti. Un mondo nel quale ad alta produttività sarebbe corrisposta una vita migliore e il potenziamento tecnologico avrebbe reso possibile una più alta produttività. Niente di tutto questo. Il mondo che è scaturito è un mondo che corre in condizioni di stress sempre maggiore. Un mondo nel quale le scelte riguardo all'alimentazione e all'attività fisica non sono vagliate in virtù delle ricadute sulla salute, che sono a lungo termine, ma più sulla base della convenienza immediata. Che cosa si può fare per invertire la tendenza?

Invertire la rotta

Due sono le vie indicate dall'editoriale di Science per invertire la rotta. Da una parte è necessaria una campagna di rinnovamento sociale che agisca sia a livello politico sia a livello di incentivi economici e sociali a sostegno di uno stile di vita più sano. Un percorso che richiede tempo. Ecco perché è necessario che le persone dispongano di strumenti per convivere con l'attuale situazione ambientale. Si può parlare di stato di crisi in riferimento all'obesità? Se si pensa ai numeri elencati, all'aumento della morbidità e della mortalità, alla ridotta qualità di vita e ai costi crescenti ad essa associati, decisamente sì. Eppure nell'opinione pubblica manca la percezione di questa condizione. L'obiettivo è chiaro. Ridurre il numero di obesi e di persone in sovrappeso. Un obiettivo che non si può raggiungere in breve, ma per il quale può essere opportuno identificare punti specifici.

Camminare e rinunciare...

Identificare il gap energetico rappresenta il primo obiettivo. Stabilire cioè che cosa è necessario modificare per ristabilire l'equilibrio energetico tra calorie introdotte e bruciate. Un conto non semplice che lo studio NHANES contribuisce a realizzare. Gli esperti hanno calcolato che più o meno la popolazione statunitense ingrassa di circa un kg l'anno, e che questo equivale a un certo numero di calorie in più introdotte; facendo la media, basterebbe ridurre di 50 kcal/giorno l'apporto quotidiano di energia (leggasi cibo) per fermare l'aumento di peso nel 90% della popolazione. Volendo poi perdere peso allo stesso ritmo con cui lo si guadagna, basterebbe ridurre di 100 calorie al giorno la razione. Infatti per ogni 100 kcal introdotte 50 kcal sono immagazzinate come grasso corporeo, e il restante viene speso. Nell'articolo si rileva anche che non è per forza obbligatorio ridurre le calorie introdotte, ma si potrebbe anche aumentare il consumo (vale dire attività fisica). Il calcolo, costruito su basi esclusivamente statistiche, è tutto da dimostrare ma il risultato potrebbe essere raggiunto con lievi modifiche dello stile di vita: camminare qualche km ogni giorno o ridurre le porzioni a tavola. Per rendere l'idea, 50 calorie equivalgono a una mela. Precauzioni che valgono in particolare per i bambini, sicuramente la popolazione più vulnerabile e a rischio.

L'editorialista di Science in conclusione è fiducioso rispetto alla possibilità di realizzare questa svolta culturale. Un cambio in virtù del quale ognuno deve disporre degli strumenti necessari per essere più consapevole del proprio bilancio energetico, una consapevolezza che dovrebbe cominciare dai banchi di scuola.

Marco Malagutti



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