A chi niente...

23 dicembre 2004
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"L'Italia è uno dei principali paesi produttori di armi e mine antiuomo. Perché non si usano quei soldi invece per sfamare e tutelare un bambino?". Un ragionamento impeccabile quello di Giovanni Pugliesi, presidente della Commissione italiana per l'Unesco e a renderlo ancora più impeccabile sono i numeri del rapporto del 2004 su "Lo stato dell'insicurezza alimentare nel mondo", elaborato dalla Fao. Numeri che lasciano interdetti. Ogni anno 5 milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono di fame. Le persone che soffrono di malnutrizione aumentano al ritmo di 4 milioni all'anno. E tutto dopo che al summit mondiale dell'alimentazione, svoltosi nel 1996 a Roma, l'obiettivo dichiarato era quello di dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati. Ma non è finita qui. Nel biennio 2000-2002, sono risultate sottoalimentate 852 milioni di persone; di queste 815 milioni vivono nei paesi sottosviluppati, 28 milioni in quelli in via di sviluppo e 9 milioni nei paesi industrializzati. Già perché anche alle nostre latitudini, stando al rapporto 2005 dell'UNICEF, appena presentato a Roma, le cose non vanno meglio. Basti pensare che in Italia la percentuale dei bambini che vivono nella fascia di povertà è del 16,6%, decisamente più alta che in passato. Si tratta di minori immigrati ma anche di bambini le cui famiglie vivono sotto la soglia di povertà. Niente di cui rallegrarsi perciò. Si capisce così perché la FAO abbia lanciato un allarme oltre all'imperativo a fare di più. E si può.

Più spese più guadagno


Il dato che 30 paesi sono riusciti a ridurre del 25% il numero dei denutriti dovrebbe essere indicativo. Cina e India sono stati i paesi che hanno raggiunto i risultati migliori, contribuendo a migliorare le statistiche mondiali. Ma qualche cambiamento si è visto anche nei paesi più arretrati dell'Africa subsahariana, ma ancora troppo poco. Come è successo? Una duplice strategia ha previsto da una parte il rafforzamento dei programmi sociali per far arrivare il cibo a chi non ce l'ha, dall'altra l'incentivazione alla produzione agricola e alimentare, con aumento dell'occupazione e riduzione della povertà. Una ricetta che, secondo la FAO, adottata in tutti i paesi in via di sviluppo potrebbe dimezzare entro il 2015 la popolazione sottoalimentata. Ma l'analisi dell'associazione umanitaria oltreché a colpire i cuori mira ai portafogli. Già perché, dice il rapporto FAO "ogni dollaro investito nella riduzione della fame può produrre da 5 fino a 20 volte tanto in termini di utili". La scarsa disponibilità di risorse alimentari costa, infatti, ai paesi in via di sviluppo centinaia di miliardi di dollari in termini di produttività. Il rapporto afferma che, senza i costi diretti cui la società deve far fronte per i danni causati dalla fame, ci sarebbero più fondi a disposizione per combattere altri problemi sociali. Secondo una stima molto approssimativa questi costi ammontano a circa 30 miliardi di dollari l'anno. Non solo. Secondo la FAO gli attuali livelli di malnutrizione infantile genereranno perdite produttive e di reddito tra i 500 miliardi e un trilione di dollari. Ce n'è abbastanza per convenire con le conclusioni della FAO: "che sia stato fatto così poco per combattere la fame, sebbene le risorse necessarie per prevenire questa tragedia siano minuscole se confrontate agli utili, è deplorevole". Proprio deplorevole. Buon Natale

Marco Malagutti



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