Una pianta molto discussa

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Una pianta molto discussa



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La notizia ha del clamoroso. In Canada per la prima volta il consumo e la coltivazione di marijuana sono, non solo stati autorizzati, ma addirittura consigliati ai malati terminali e a quelli affetti da gravi malattie. Un provvedimento destinato a suscitare polemiche. Secondo molti medici, infatti, non esisterebbero prove a dimostrazione dell'efficacia medica di quest'erba. La questione peraltro non è del tutto nuova, la discussione sui potenziali vantaggi terapeutici nell'uso di marijuana è sempre più fitta in ambito scientifico, tanto che nel 1997 i National Institutes of Health ha radunato un gruppo di esperti per cercare di analizzare tutti i dati a disposizione sui potenziali vantaggi della marijuana. Ma di cosa si parla quando si parla di cannabis?

Storia e usi


La cannabis, nota anche come marijuana, ganja, pot, kif, hemp e almeno altri trecento nomi diversi, è una delle più antiche piante psicoattive conosciute dall'umanità. Originaria delle regioni dell'Asia Centrale, lungo il corso dei secoli si è diffusa praticamente ovunque, superando ogni tipo di avversità ambientale. La si trova in tutto il bacino del mediterraneo e nelle Americhe, nelle regioni più interne dell'Africa e in nord-Europa, nel continente australiano e nell'Oriente più estremo. L'etimologia del nome comprende la radice "kan, col doppio significato di "hemp" e "cane" (canna). Invece il suffisso "bis" si riferisce all'evoluzione linguistica dei termini "bosm" (ebraico) e "busma" (aramaico): odoroso, dal buon profumo, aromatico. Pare che i primi usi come fibra e medicina risalgano addirittura al XXVII secolo prima di Cristo, mentre il più antico manufatto umano, un pezzetto di tessuto di canapa, scoperto in Mesopotamia risale addirittura all'ottavo secolo a.C. Di sicuro veniva coltivata in Cina e in Egitto fin dal 4000 a.C., nel Turkestan dal 3000 a.C., e la troviamo poi nominata nei testi Babilonesi, Persiani, Ebrei e Caldei. Archeologi, antropologi, economisti e storici concordano sul fatto che da molto prima del mille a.C e fino al 1883 la cannabis costituisse la coltivazione più diffusa sul pianeta, fornendo materia prima per i più diversi usi.

Botanica e farmacologia


Secondo la tassonomia ufficiale moderna, la cannabis va inclusa nella famiglia delle Cannabaceae, insieme al luppolo, dopo essere stata inserita dapprima tra le Moracee e successivamente tra le Urticacee. La classificazione più in voga oggi distingue: C. sativa, la più diffusa arriva anche a tre metri d'altezza, molto resinosa e dalla forma piramidale; C. indica, più piccola e con molte foglie; C.ruderalis, al massimo mezzo metro d'altezza e senza rami. Pianta annuale la cannabis ha un ciclo breve, con semi piantati all'inizio della primavera, fioritura a metà estate e maturazione annuale. I semi germogliano in meno di una settimana e l'impollinazione avviene generalmente con il vento. Sono i fiori della femmina, la pianta è infatti dioica (esistono cioè separati maschio e femmina), a produrre la maggiore quantità della sostanza resinosa contenente il principio attivo, il delta-9-tetraidrocannabinolo, meglio noto con la sigla THC. Sono oltre 460 i componenti chimici della pianta, e più di 60 rivelano la struttura tipica dei cannabinoidi. Tra questi il delta-9-THC, presente intorno all'1,5% del peso totale, è l'unico finora scoperto ad avere notevoli proprietà psicoattive. La pianta estremamente forte e resistente riesce a riprodursi allo stato selvatico praticamente ovunque e non richiede particolari attenzioni, salvo discrete innaffiature in fase germinativa. Negli ultimi decenni poi sono stati sviluppati sistemi piuttosto sofisticati e anche incroci genetici, in particolare negli USA, per aumentare la concentrazione di THC e quindi gli effetti psicotropi. In genere una sigaretta media contiene circa 500 mg. di marijuana e da 5 a 20 mg. di THC di cui solo il 50% raggiunge i polmoni. Gli effetti della cannabis sugli esseri umani sono stati riscontrati per dosi minime di 25 mcg. per 1 kg di peso corporeo. Intense allucinazioni sono state riportate per dosi intorno ai 250 mcg. per kg. Gli unici effetti farmacologici negativi sulla salute, documentati finora, sono quelli relativi alle vie respiratorie, dovuti alla nicotina prodotta dalla combustione. Come ha confermato uno studio americano (Western Journal of Medicine, 9 giugno 1993): chi fuma regolarmente cannabis rischia malattie alle vie respiratorie per il 19% in più di chi non fuma. Infine nessuna dipendenza e/o assuefazione fisica è stata mai accertata, pur se in alcuni soggetti può insorgere una certa dipendenza psicologica. La letteratura scientifica degli ultimi 50 anni ne documenta le applicazioni della cannabis contro nausea, spasmi muscolari, sclerosi multipla, glaucoma, emicrania, vomito e in anni recenti per casi di AIDS e cancro. Con quali risultati?

Marijuana in terapia

Come premesso i National Institutes of Health ha considerato le varie aree terapeutiche per definire gli effetti fino ad oggi identificati della marijuana.

Analgesia
Due gli studi fino ad oggi perfezionati per verificare l'efficacia di THC orale, a confronto con placebo, nel sedare i dolori indotti dal tumore. L'efficacia analgesica è stata evidenziata, ma secondo la comunità scientifica il margine tra la dose efficace e i potenziali effetti avversi è troppo sottile.

Disturbi neurologici
Sono molti gli studi clinici e preclinici concernenti l'uso dei cannabinoidi per disturbi neurologici o inerenti il movimento. Peraltro le conoscenze sugli effetti della marijuana nei casi di sclerosi multipla o per lesioni al midollo spinale sono largamente anedottiche. È recente il caso di una donna delle isole Orkney ammalata di sclerosi multipla che ha raccontato alla Bbc di non aver mai trovato nulla che le abbia tolto i dolori come la cannabis. Non sono però mai stati effettuati studi di larga scala per compare l'effetto della THC a confronto con le terapie normalmente utilizzate. Un possibile utilizzo dei cannabinoidi è stato invece verificato in studi preclinici per il trattamento dell'epilessia, ma le informazioni restano ancora piuttosto poche. Sono riportati in letteratura casi individuali di efficacia della marijuana nelle situazioni di distonia, mentre nessun effetto si è riscontrato per il morbo di Parkinson e la corea di Huntington. Infine i cannabinoidi utilizzati su modelli animali hanno evidenziato efficacia come immunomodulatori.

Nausea e vomito da chemioterapia
Tra gli effetti collaterali della chemioterapia nausea e vomito, si sa, sono tra i più frequenti, ed esiste una vasta letteratura sull'effetto dei cannabinoidi in questi casi. La maggior parte degli studi però riguarda il dronabinolo (nome generico del THC naturale o di sintesi) e non il fumo di marijuana. Dal momento dell'approvazione del dronabinolo in terapia antiemetica, altri nuovi antiemetici sono stati prodotti, rispetto ai quali non è stato ancora effettuato lo studio comparativo. Nell'unico studio in cui la marijuana ha preso il posto degli antiemetici di ultima generazione, i risultati sono stati contrastanti, perché quasi un quarto dei pazienti ha, dopo l'iniziale disponibilità rinunciato per pregiudizi antifumo. Gli altri pazienti hanno invece trovato, nel 78% dei casi la marijuana efficace, con sedazione significativa nell'88% delle situazioni.

Glaucoma
Il fumo di marijuana abbassa la pressione intraoculare sia in pazienti con normali livelli pressori sia in pazienti affetti da glaucoma. La durata dell'effetto va dalle tre alle quattro ore, con una contemporaneo e rischioso abbassamento della pressione del sangue. Abbassamento che potrebbe secondo alcuni compromettere l'afflusso di sangue al nervo ottico. Proprio per evitare questi potenziali effetti collaterali è stata tentata l'applicazione della forma topica del THC, senza alcun risultato. Ancora restano da definire sia il meccanismo d'azione della marijuana sia la sua interazione con i farmaci normalmente usati per abbassare la pressione intraoculare.

Appetito
La relazione tra la cannabis e l'aumentato appetito è dimostrata da parecchi studi clinici. La marijuana pare, infatti, incentivare il piacere del cibo e quindi il numero di volte nelle quali un individuo mangia durante il giorno. Non viene invece condizionato in alcun modo il gusto né il meccanismo di sazietà. Il dronabinolo è perciò stato approvato per il trattamento dell'anoressia nei pazienti con perdita di peso associata all'AIDS.

Non ci sono ancora risposte definitive e il campo risulta enormemente vasto, si sta parlando, infatti, della fisiologia del cervello umano. Quello che è certo è che per molte delle patologie considerate la marijuana può essere efficace, ma in molti casi esistono già rimedi alternativi ed efficaci. Si tratta perciò di stabilire, come sta già facendo il National Institute of Health, con metodiche rigorose e sistematiche analisi comparativa e studi sempre più approfonditi del rapporto rischi/benefici.

Marco Malagutti



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