Obiezione a senso unico

21 dicembre 2006
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Obiezione a senso unico



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Probabilmente è un argomento che è stato dibattuto ai limiti dell'insopportabilità, ma è innegabile che l'eutanasia abbia letteralmente invaso giornali, tv, radio, siti Internet e tutto l'invadibile. Forse era anche necessario che andasse così: non si dimentichi che Piergiorgio Welby, morto la notte scorsa, avrebbe potuto assai più facilmente ottenere quanto chiedeva standosene per così dire in penombra, perché in Italia si può ottenere quasi tutto, basta che non si faccia troppa pubblicità e non si rivendichi un diritto. Ma qui quello che contava era appunto il diritto.
Spiace che la vicenda di Piergiorgio Welby sia stata l'ennesima occasione per una serie di prese di posizione di cui non si sentiva la mancanza. Ha ben poco senso, per esempio, parlare di eutanasia contrapponendola alle cure terminali o palliative che dir si voglia. Il metodo scientifico, che da Cartesio in poi è il metodo di chi vuole ragionare e non mostrare i muscoli (dialettici), mostra che le due cose non sono in contrapposizione: l'Olanda ha una legge sull'eutanasia e un'ottima organizzazione (e formazione dei medici) sulle cure palliative. Quindi non è che se si ammette un intervento per porre fine alle sofferenze su richiesta del malato, poi non si fa nulla se per caso il paziente chiede semplicemente di lenire il dolore. Si parla anche di destino biologico, di sacralità della vita eccetera. Ma, riflettendo seriamente, il destino biologico di chi ha una malattia mortale incurabile (non l'acne rosacea) è - sfortunatamente - la morte, non un prolungamento artificiale e insensato di uno stato di menomazione.

Non proprio eutanasia


Ma poi, si sta parlando davvero, nel caso di Piergiorgio Welby, di eutanasia? Non sarebbe meglio parlare di rifiuto delle cure? Rifiuto che nessuno può contestare al cittadino, a meno che non vi sia una disposizione di legge (vedi le vaccinazioni obbligatorie o, nel caso di persone incapaci di intendere e volere, il trattamento sanitario obbligatorio). Ha spiegato bene questo tipo di situazione, qualche giorno fa, Luciano Gattinoni, anestesiologo di fama mondiale e presidente Società Italiana di Anestesia e Rianimazione, facendo il caso di una persona cui fosse diagnosticato un tumore del polmone, patologia in cui le prospettive di risoluzione non sono eccezionali, a dire il meno. Se il cittadino rifiuta l'intervento chirurgico e le cure successive, che fa l'oncologo, chiama i carabinieri? No, e quindi...

Se ci fosse il testamento biologico


Più centrate le obiezioni giunte a corollario della pronuncia del giudice di Roma, che ha deciso che non c'erano elementi per "ordinare" di interrompere i trattamenti. Infatti, finché si è coscienti è evidente che le cure si possono rifiutare, anche in punto di diritto, ma una volta che si perde conoscenza per il medico si apre una zona grigia, nella quale può tornare a valere l'imperativo di agire sul paziente, mancando l'espressione della volontà. Non è un cavillo, solo che sarebbe semplicissimo ovviare, basterebbe finalmente mettere mano alla questione del testamento biologico. Se questo avesse valore legale, anche in caso di incoscienza andrebbe rispettato il desiderio del paziente.
Infine, si è parlato di obiezione di coscienza, come se ne parla a proposito di interruzione di gravidanza, di fecondazione assistita con test preimpianto e altro ancora. Verrebbe da fare battutacce pensando, magari, ai medici obiettori in ospedale e abortisti in clinica, una circostanza che non è stata (ri)scoperta dai servizi segreti, ma dalle Iene. Oppure al fatto che alcuni farmacisti abbiano a suo tempo pensato a obiettare sulla vendita dei contraccettivi ormonali (!). Ma se libertà di coscienza, e quindi di obiezione, ha da essere, perché non far valere anche l'obiezione dei molti medici, compresi quelli che hanno aiutato Welby, che trovano contrario ai loro principi praticare trattamenti inutili?

Maurizio Imperiali



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