Pressione sensibile al sale

26 settembre 2008
Aggiornamenti e focus

Pressione sensibile al sale



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Una dieta ricca di sale, inteso come sodio, e povera di potassio viene notoriamente associata a livelli di pressione sanguigna: un effetto riscontrato in studi su modelli animali, su popolazione e su pazienti. Tuttavia è stato anche osservato che la risposta pressoria all'assunzione di sodio e potassio varia di molto tra un individuo e l'altro, il che significa che pur modificando le quantità consumate con l'alimentazione non è detto che si ottenga lo stesso risultato in tutta la popolazione. Per esempio, è stato notato che persone anziane, in sovrappeso o ipertese sono più sensibili e che la sensibilità al sale è condizionata dal consumo di potassio.

Risposte al freddo


Nell'ottica di esaminare le diverse risposte della pressione in regimi alimentari differenti, una ricerca, inserita nello studio GenSalt (Genetic Epidemiological Network of Salt Sensitivity), ha adottato un metodo di valutazione della pressione basato sulla reazione del sistema nervoso al freddo. In pratica, il cold pressor test, o test del freddo, prevedeva due normali misurazioni con uno sfigmomanometro che venivano intervallate dall'immersione del braccio (opposto a quello usato per la misurazione) in acqua gelida a 3-5° C per circa un minuto. In questo modo si verifica un'attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico (che mobilita risorse energetiche in risposta a situazioni di emergenza, come il freddo) che determina, tra le altre cose, una vasocostrizione delle arteriole con conseguente aumento della pressione sanguigna. A livello fisiologico, aumenta la concentrazione plasmatica di adrenalina e l'attività dei nervi simpatici che controllano la muscolatura, che a loro volta fanno aumentare sia la pressione arteriosa media sia la quantità di adrenalina nel circolo periferico. In sostanza, gli autori della ricerca sono andati a misurare la pressione in condizioni di stress fisico per vedere come si comportavano i valori.

Cala il sale, cala la pressione


Nell'arco di tre settimane, nel frattempo, ai circa 1900 soggetti coinvolti nella sperimentazione era stato proposto un iniziale regime iposodico, con circa 3 grammi di sale al giorno per poi passare a una dieta decisamente più salata con 18 grammi al giorno, senza variare le quantità di potassio. A seguire, mantenendo alto il sodio, si aggiungeva un integratore di potassio per aumentarne la quantità assunta. Prima di avviare le persone al regime dietetico, la risposta pressoria al test era più forte tra chi aveva, già al basale, valori di pressione più alti e un contenuto sodico maggiore nella propria dieta, e quindi l'ampiezza della variazione dipendeva da una condizione iniziale. Inoltre, com'era immaginabile, la riduzione della pressione sanguigna con l'intervento dietetico era maggiore nella fase iposodica e durante l'integrazione con potassio rispetto alla fase di dieta arricchita di sale, in cui, tuttavia, si osservava solo un piccolo aumento della pressione. Osservazioni che hanno portato i ricercatori a fare alcune considerazioni: per esempio, che l'aumento dell'assunzione di sodio aveva sortito un effetto minimo sulla pressione mentre la sua riduzione comportava un calo rilevante, almeno nei soggetti suscettibili. Tale suscettibilità si poteva riconoscere nell'elevata sensibilità di risposta nel test del freddo, associata per altro, da altri studi, a un maggiore rischio di sviluppare ipertensione. Inoltre, anche il potassio poteva rappresentare un fronte di intervento, dal momento che la sua supplementazione abbassava la pressione sanguigna, in particolare quando il tenore sodico era alto. Infine, una riflessione è stata rivolta al metodo usato: il cold pressor test oltre a essere uno strumento di studio adottato in ricerca medica potrebbe rappresentare un'opportunità per valutare sia il rischio ipertensione sia l'efficacia di un intervento dietetico.

Simona Zazzetta



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