Soffrire coi capelli bianchi

20 giugno 2008
Aggiornamenti e focus

Soffrire coi capelli bianchi



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L'invecchiamento della popolazione comporta un aumento dei disturbi cronico-degenerativi, tipici della terza età e spesso associati a sintomatologia dolorosa. Spesso ma non sempre, perché la polipatologia (presenza di più malattie insieme) dell'anziano porta ad anomalie dei sintomi e altera le manifestazioni del dolore; l'infarto miocardico e l'addome chirurgico, per esempio, possono addirittura essere asintomatici. L'avanzare degli anni, inoltre, si accompagna ad un fisiologico decadimento fisico che può indurre sia il medico sia il paziente a sottovalutare certi sintomi dolorifici, già di difficile interpretazione a causa della sovrapposizione di vari disturbi. Si assiste perciò a terapie mancate, oppure a ricoveri per danni iatrogeni, causati da terapie errate o tossicità da sovradosaggio di farmaci.
D'altra parte lo stato di salute percepito dall'anziano non è necessariamente correlato alla presenza di malattie, ma piuttosto alla sua qualità di vita, che non significa più assenza di malattia ma sufficiente autonomia e benessere psico-affettivo. Quando questo equilibrio s'incrina è facile cadere in depressione, patologia frequente dopo i 65 anni ma spesso non diagnostica né curata adeguatamente. La depressione, infatti, può essere confusa con la demenza senile, oppure mascherata dal paziente stesso che la esprime sotto forma di dolore fisico aspecifico (di cui non si capisce l'origine).

La psicologia del dolore


I soggetti anziani sono più fragili nel corpo a causa degli eventi biologici propri della senescenza, che portano ad una progressiva perdita di funzionalità di organi e apparati. Questo li porta a preoccuparsi maggiormente del buon funzionamento dell'organismo, a cercare di difendere proprio il corpo evitando quelle situazioni che possono minacciarlo. Sicurezza significa, allora, restringimento dello spazio d'azione e degli scambi relazionali, per timore di possibili insulti all'integrità fisica e attaccamento a sistemi di riferimento collaudati da anni, come il nucleo famigliare e la propria abitazione. La modificazione di uno di questi punti di riferimento è sufficiente per generare stati di angoscia e depressione, cui l'anziano è più vulnerabile. Se è vero che la vita di ogni essere umano è costellata da esperienze di perdita (il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, un cambio di lavoro), compensate da ciò che in cambio si può acquisire, è evidente che questo equilibrio diventa precario quando il futuro si restringe e ciò che ancora si ha da offrire non corrisponde ai valori apprezzati dalla società. Ne derivano le note situazioni d'isolamento, in parte volontario e in parte dovuto alla perdita dei propri coetanei, che accentuano paure e angosce.
Depressione e dolore fisico si potenziano a vicenda, ma l'anziano li esprime entrambi attraverso il dolore, cronico e aspecifico, del corpo, usando quindi lo strumento capace di attirare l'attenzione della cultura dominante.
Naturalmente questa interpretazione offre solo una chiave di lettura in più del disagio della terza età, senza nulla togliere alle molteplici realtà con cui la sofferenza si manifesta. Le statistiche confermano, infatti, che gli anziani sono colpiti da patologie, croniche e non, caratterizzate da dolore di varia intensità; si ammalano di depressione ma questa, spesso, non viene diagnosticata o curata come negli adulti; assumono farmaci per lunghi periodi di tempo subendone gli effetti collaterali (ulcera da FANS); se affetti da demenza o altre degenerazioni cognitive non sono in grado di segnalare i dolori di cui soffrono, quindi non ricevono le terapie adeguate.
Tanta sofferenza si può e si deve alleviare con i molti farmaci disponibili: antinfiammatori non steroidei (FANS), cortisteroidi, oppiacei (la morfina e i sui analoghi), senza dimenticare le precauzioni riservate all'età.

Elisa Lucchesini



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