Ultimi giorni dignitosi anche in corsia

02 settembre 2005
Aggiornamenti e focus

Ultimi giorni dignitosi anche in corsia



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Il termine hospice, l'idea di una struttura che assiste chi non può essere curato ma, semmai, deve essere aiutato a morire con dignità non sono più estranei all'opinione pubblica. Tuttavia questo ha spesso spinto a identificare un trattamento idoneo con la presenza dell'hospice, quasi che si potesse trattare adeguatamente i malati terminali soltanto disponendo di un edificio apposito. In realtà, non è proprio così, non fosse altro che per il fatto che gli specialisti in cure palliative sono presenti in buona parte degli ospedali e che comunque, a volte, basta poco per garantire un trattamento più umano.

Formare il personale


Che sia possibile (quasi) ovunque un approccio corretto agli ultimi giorni di vita del paziente lo ricorda un'esperienza statunitense, condotta in un ospedale della Veteran Administration (il servizio pubblico che si occupa di reduci). In questa struttura di 162 letti è stato attuato un programma di intervento mirato all'assistenza dei malati terminali, che prevedeva sia la formazione del personale medico e infermieristico dei reparti per acuti sia la predisposizione di un "pacchetto" di provvedimenti da prendere, sempre per il medico e l'infermiere, e una griglia per valutare se ci si trova davanti a un paziente terminale o no. Per esempio, si invitava a considerare se era in stato semi-comatoso, se presentava un forte declino della funzionalità renale, se incominciava a manifestarsi l'incapacità di assumere fluidi e altri aspetti importanti. Dopo l'introduzione del programma, che si avvaleva ovviamente anche dell'apporto degli specialisti di cure palliative dell'ospedale, si è controllato se l'approccio era cambiato.

Più attenzione al dolore


La valutazione è stata condotta considerando diversi indicatori. Al primo posto veniva la prescrizione di oppiacei, che sono la scelta più razionale per controllare due dei sintomi più devastanti per molti malati terminali: lo stress respiratorio e il dolore. Poi la presenza di un ordine di non rianimare, elemento importante perché testimonia che il medico ha affrontato con il paziente l'argomento della morte e che, se effettivamente non ci sono stati tentativi di rianimazione, le sue volontà sono state rispettate. Un altro indicatore fondamentale è il tipo di reparto in cui è avvenuto il decesso. Infatti le unità di cure intensive sono inadatte, sia perché significa che il paziente è sottoposto a trattamenti a quel punto inutilmente invasivi (presenza di sonde, intubazioni..) sia perché non consentono ai famigliari di assistere il malato nelle sue ultime ore. I risultati della valutazione sono stati positivi. Il numero delle prescrizioni di oppiacei è aumentato: dal 57% all'83%, così come è aumentato il numero degli ordini di non rianimare. Di conseguenza è sceso anche il numero dei pazienti che, nell'imminenza della morte, sono stati sottoposti a tentativi di rianimazione (dal 34% al 15%). Non ci sono stati soltanto dati positivi: per esempio non è calato significativamente il numero di pazienti cui era applicato il sondino nasogastrico, probabilmente, dicono i ricercatori, perché è più facile aggiungere un trattamento che non sospenderne uno; è, invece addirittura aumentato il numero di pazienti sottoposti a contenzione (cioè legati al letto), un fatto triste ma che, si legge nello studio, può essere attribuito al fatto che erano cambiate le regole in fatto di assicurazione sugli incidenti. Ovviamente è anche aumentato il numero dei pazienti non più trattabili cui sono state proposte cure palliative a domicilio o il trasferimento a un hospice. Però, è la conclusione, il fatto più importante è che anche i medici formati alla cura tradizionale, cioè a puntare alla guarigione, hanno cominciato a prestare maggiore attenzione a tutti questi aspetti. Insomma, costruire gli hospice è importante e deve diventare una delle priorità. Ma si può fare molto, con un impegno di risorse anche contenuto, per rendere da subito più umana e dignitosa la morte.

Maurizio Imperiali



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