Privacy genetica

21 febbraio 2003
Aggiornamenti e focus

Privacy genetica



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Di chi è il Dna? Del suo proprietario o della collettività cui appartiene? E si può considerare il genoma di un individuo una risorsa economica? Sono solo alcune delle preoccupazioni venute alla luce in relazione ai pericoli che conquiste scientifiche come il Progetto Genoma possono arrecare alle libertà fondamentali delle persone, diritto alla privacy innanzitutto.
Ecco perché oggi si parla di privacy genetica, facendo riferimento al diritto di decidere quale delle proprie informazioni genetiche possa essere conosciuta dagli altri. È evidente, infatti, come la disponibilità di dati genetici possa far conoscere molte cose di un soggetto. Dati che possono essere male interpretati e, se in possesso delle compagnie assicurative o dei datori di lavoro, condurre a una vera e propria discriminazione. Non si può escludere, per esempio, che persone portatrici del gene che provoca la sindrome della X fragile, la più comune causa genetica del ritardo mentale, possano essere discriminate, sebbene nel 20% dei casi non manifestino alcuna forma di ritardo mentale. O che un soggetto geneticamente predisposto ad una malattia, abbia qualche difficoltà a stipulare una polizza sulla vita. Una preoccupazione che si aggrava se si fa riferimento allo scenario legislativo vigente. E l'Italia non fa eccezione.

Quando il test discrimina?


La prima legge sulla privacy genetica è apparsa negli USA, in California, nel 1989, subito dopo il lancio del Progetto Genoma umano. Attualmente negli Stati Uniti sono state introdotte un centinaio di leggi sull'argomento, e altrettante sono in discussione, la maggior parte delle quali limita l'uso, da parte delle assicurazioni, di informazioni genetiche che predicono rischi di patologie. Negli Stati Uniti del resto, dove sono le assicurazioni private a pagare le spese mediche, sono sempre più frequenti i casi di lavoratori e lavoratrici che sarebbero state licenziati o avrebbero difficoltà a stipulare una polizza assicurativa in seguito a un test che ha rivelato il rischio di malattie gravi e invalidanti. Ecco perché un terzo di coloro che potrebbero beneficiare di un esame predittivo per patologie e tumori ereditari rinuncia al test: per timore che i risultati finiscano nelle mani della sua compagnia assicurativa o del datore di lavoro. Per la tutela dei lavoratori la questione è più complessa. Un test può essere, infatti, chiaramente discriminatorio ma può anche salvaguardare la salute. È il caso, per esempio, dell'individuo maggiormente suscettibile di sviluppare un tumore a causa di una sostanza chimica con cui ha a che fare nelle sue mansioni. In questo caso è etico che il datore di lavoro sappia.
E l'Europa? Lo spettro della discriminazione genetica appare meno minaccioso vista l'attuale prevalenza di sistemi sanitari e previdenziali pubblici, ma il problema comincia comunque a essere sentito. Il Garante per la protezione dei dati personali già nel 1999 ha avuto modo di sottolineare che i dati genetici aumentano notevolmente le categorie di classificazione degli individui, adottando concetti come predizione, predisposizione, persona a rischio. In assenza di una legge comunitaria, comunque, le regole variano da una nazione all'altra.

Se il dato genetico si diffonde


In Italia, al momento, non esiste una nozione normativa di "dato genetico" ai sensi della legge 675/1996 sulla privacy. Una disciplina transitoria rilasciata nel 2000 contiene, però, un'autorizzazione generale a trattare i dati genetici, limitatamente alle informazioni e alle operazioni indispensabili per tutelare l'incolumità fisica e la salute dell'interessato, da parte di un terzo o della collettività sulla base del consenso, in mancanza del quale è vietato comunicare a terzi i dati genetici, a meno che non sia il Garante ad autorizzare. A questo proposito è recente il caso di una donna affetta da malattia congenita (glaucoma bilaterale) che, intendendo avere un figlio, si è sottoposta ad indagini genetiche, per le quali gli specialisti hanno dovuto acquisire alcuni dati sanitari riportati nelle cartelle cliniche del padre della donna. Di fronte al rifiuto del padre la donna si è rivolta al garante perché fosse autorizzata l'acquisizione delle cartelle cliniche del padre, anche senza il suo consenso. Il garante ha riconosciuto che l'esigenza di tutelare il benessere della gestante può, nella circostanza in esame, comportare un ragionevole sacrificio del diritto alla riservatezza dell'interessato.

Basta il garante?

Oltre ai problemi già citati lavoro e assicurazione sono i due aspetti nell'occhio del ciclone anche per la necessità di bilanciare gli interessi economici con il diritto di riservatezza e la dignità delle persone. Negli USA, per esempio, nel 1999 è stato emanato un decreto che vietava l'uso dei dati genetici da parte dell'amministrazione pubblica nel rapporto di impiego con i dipendenti federali. In Gran Bretagna, invece, una commissione governativa istituita ad hoc ha deciso di rendere disponibili i dati genetici dei clienti, a condizione che il governo sia in grado di tutelare i soggetti portatori di geni dannosi. In Italia, invece, tali problemi non si sono ancora posti in concreto.
La questione riferita alla gestione ed alla utilizzazione di informazioni genetiche è ancora più ampia e va al di là del piano meramente giuridico. Basti pensare all'attenzione che ha improvvisamente sollevato fra i media americani, nel giugno del 2000, la notizia che i dati del "Framingham Heart Study" che raccoglie, da oltre 52 anni, notizie relative ai nuclei familiari che risiedono nell'omonima cittadina nei dintorni di Boston, sono stati messi per la prima volta in vendita a scopi commerciali, da una nuova società d'affari creata appositamente dall'Università di Boston. La necessità della privacy genetica diviene così sempre più urgente in quanto si prospettano nei prossimi anni un aumento esponenziale dei test per rilevare mutazioni genetiche. La domanda che da più parti si leva è: basta un'autorità amministrativa come il Garante per dirimere questioni così delicate?

Marco Malagutti



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